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Immagine del redattoreSara

Luna piena di... squame

Ciò che sembra solo un riflesso, talvolta, non lo è.

Ciò in cui non vogliamo credere, talvolta, ci si presenta, a muso duro, proprio davanti agli occhi, senza lasciarci la possibilità di ignorarlo.

Inusitato? Oh beh sì, certo. La vita, altrimenti, sarebbe un continuo colpo di scena che, a breve, tale più non sarebbe per il mutarsi in essere avvezzi all’eccezionalità.

Eppure inusitato non è che l’inusitato si presenti proprio nelle notti di luna piena. 

Ve ne fu una molto particolare, a Copenaghen, in cui l’acqua del mare divenne talmente nera che non ci fu proprio nessun riflesso della grande luna.

Oh no, nessuno ne parla più. 

Perché? Perché il ricordo, nel tempo, tende a svanire, per due motivi: il pensato straordinario tale non è oppure, se lo è, risulta più comodo dimenticare. 

Eppure qualcosa rimane, anche del sepolto, come strane tradizioni. Per esempio mettere i ragazzi a letto presto, molto presto, nelle notti di luna piena…


***


Provate ad immaginare un mondo totalmente immerso nella rigogliosità: fermento economico, ad ogni angolo circoli culturali e caffè letterari, persone rilassate e di buon umore, vie sicure; nascite bilanciate e tasso dei divorzi ridotto quasi a zero, rendimento scolastico senza eguali storici. Generazioni e generazioni di bambini con tratti distintivi caratterizzati da grande sensibilità, sagace intelligenza, rapidissima capacità di apprendimento e una saggezza prematura, oltre che un’amore smisurato e una velata nostalgia per il mare.


Ebbene Norberto viveva proprio in una Copenaghen facente parte di quel tipo di mondo e mostrava tutti i tratti di un ragazzo derivante da generazioni di fanciulli straordinariamente dotati: non poteva davvero essere diversamente.

Quel giorno di Giugno era appollaiato sul davanzale della sua bow window, con carta e penna in mano e aria assorta, affacciato sulla sua città, piena di colore. Vedeva tutto il porto e, quando era in casa, non c’era altro luogo che lo rendesse più sereno di quello, in cui non perdeva mai il contatto con la distesa d’acqua salata.

Già da piccino aveva dimostrato un amore spassionato per quell’angolo dell’appartamento: quando era in braccio a qualcuno, protendeva sempre le manine verso la finestra; appena aveva iniziato a gattonare, la meta era sempre la finestra; i primi passi erano stati verso la mamma, per prenderla per mano e portarla alla finestra, dove aveva appoggiato gli avambracci sui cuscini ed era rimasto in contemplazione del panorama per un’ora intera. 

La predilezione per quell’angolo non era mai scemata, nemmeno crescendo, tanto che i suoi genitori avevano deciso di rivoluzionare la disposizione delle stanze, affinché quella potesse diventare camera sua. Era come se, guardando il mare, ogni cosa che si mettesse a fare, gli riuscisse meglio: per tutto il tempo della scuola aveva studiato e suonato il violino su quel davanzale. E, all’università, terminato i disegni per i suoi progetti e, a seguire, studiato per l’abilitazione all’albo. Certo, era pur sempre un tempo esiguo: il rimanente a quello che passava in acqua a nuotare o gareggiare nelle regate.


Sua mamma lo riportò indietro dai suoi pensieri: “Un’altra lettera d’addio? Se vai avanti così non ti vedrò mai sposato!”

“Ah, mamma, non è un po’ presto? E poi nessuna è…”

“Oh, ma Norberto! Pare tu stia cercando una chimera!”

“Magari solo la mia sirena.”

“Ah bella questa. E come farai ad invitarla a cena?”

“La porterò in un ristorante sul porto!”. E ne avevano riso, cercando di scorgere, invano, lo sapevano bene, la statua de “La Sirenetta” in lontananza.

“Forza, molla tutto e vai a dormire, lo sai che stasera è tempo di luna piena.”.

Norberto fece di tutto per prendere sonno in fretta, ma non sembrava davvero possibile quella sera. 

Aveva uno strano presentimento, si sentiva così agitato… Lasciare Eliza lo rattristava molto e sua mamma aveva ragione: in fin dei conti tutti i suoi colleghi erano già sistemati, possibile che lui si sentisse così in dissonanza con quel mondo?

E, mentre le luci si spegnevano, i suoi pensieri si accendevano sempre più; non gli era possibile rimanere a letto e cedette alla tentazione di sedersi un poco sulla sua finestra, per cercare, con il conforto del suo amato mare, di calmarsi. Cosa poteva mai accadere se rimaneva sveglio durante la luna piena?

Nell’ammirarla, avvolto nella coperta che gli aveva regalato la sua cara nonnina, rimase a bocca aperta: era una luna stupefacente, la più grossa che avesse mai visto ed era… a squame.

Poi il suo sguardo cadde sul porto e il cuore gli si fermò in gola: alcuni giovani camminavano verso il mare, lasciandosi cadere dal porto, come ipnotizzati. Avevano movimenti automatici, schematici e si muovevano ordinatamente in file. Li riconosceva quasi tutti ed erano ragazzi della sua stessa leva. Anche Eliza era con loro. 

Il mare era infuriato. Più nero della pece, faceva davvero paura. 

Il primo pensiero fu che avessero fatto una sciocca festa e che qualcuno avesse dato loro qualche inutile pasticca. Quindi imboccò la porta di casa e si gettò di corsa verso il porto, deciso a salvarli. Non poteva restare a guardare: sarebbero annegati tutti.

Correva all’impazzata, seguendo il muretto del porto, urlando: “Ehiiiii! Fermi! Basta! Fermatevi! Ragazzi! Eliza!”, quando, ad un certo punto, una grossa freccia rossa per poco non lo trafisse.

Si girò verso il mare, da dove era arrivata, e riuscì a schivarne una seconda per pura fortuna. 

“Tu dovresti essere in fila, come loro.”, una voce femminile gli fece venire la pelle d’oca. Il mare era grosso e Norberto vedeva solo una folta chioma di capelli ricci agitati dal vento: “Io cosa?”.

“Tu dovresti essere in fila, con tutti gli altri figli del mare. I tuoi umani non ti hanno messo a nanna presto per la luna piena?”.

Norberto aveva paura di avvicinarsi ulteriormente al molo, eppure la curiosità, il mare, la luna… non resisteva: doveva capire chi stava parlando così e perché.

“Sempre il riposo è d’obbligo prima della luna piena in cielo, ma non avevo sonno. Chi sei tu? Perché chiami i miei amici al mare?”. E, nell’indicare la fila dei suoi compagni, Norberto tornò con lo sguardo verso la città: vi erano frecce rosse conficcate ovunque: nelle loro porte, nelle finestre, nei muri. “Oddio, ma che state facendo? E’ un assalto?!”, la voce di Norberto era diventata molto decisa, era minacciosa e, il timore che lo aveva accompagnato fino a poco prima, era scomparso, affogato nella rabbia di un possibile sterminio delle persone cui teneva. Un tuffo al cuore per i suoi genitori, ma ricordò di averli visti dormire, uscendo di casa. Mosse decisi passi verso la figura dai folti capelli. Lei emerse dal mare e lui vide, per la prima volta in vita sua, una sirena. Erano muso a muso e nessuno dei due mostrava il minimo stupore. Eppure ne avevano, eccome: lei non credeva alla spavalderia di lui; lui non credeva all’esistenza di lei. 

“Io sono Milvia. Non è un assalto. Ci riprendiamo solo quello che appartiene al mare.”.

Mentre Milvia parlava, Norberto non poté fare a meno di notare che il plurale era tutt’altro che ingiustificato: centinaia di sirene e tritoni emergevano dalla distesa d’acqua. 

“E tu, Norberto, per non esserti ancora gettato in mare, pur non dormendo con la luna piena e pur con tutte le frecce che abbiamo scagliato, sei decisamente mio fratello.”,

“Sono… io sono cosa?”.

“Mio fra-tel-lo.”

“E tu sei paz-za.”

“Avanti, Norberto, qui c’è poco da scherzare. Io tengo vivo l’incantesimo e tu… beh per te è ora di tornare a casa. Buttati in acqua, altrimenti ti ci farò buttare da Momo.”, e, nel dire Momo, fece cenno verso un enorme tritone che sembrava scolpito e uscito direttamente dalla pietra. Enorme. Muscoloso. Con una lunghissima coda che sembrava anche affilata. Sguardo truce. Espressione violenta e contrariata.

Norberto, fosse stato un giovane con un minimo di buon senso, probabilmente avrebbe guardato quella che si era appena dichiarata sua sorella, avrebbe chiesto qualche spiegazione e, poi, avrebbe detto “Ok”, anzichè: “Ma che venga pure a prendermi il Belzebù dei mari. Voglio vedere come se la cava con le pinne sull’asfalto.”.

Detto, fatto. Momo fece giusto mezzo ghigno. Poi le onde intorno a lui formarono un vortice che lo accompagnarono in un balzo altissimo fuori dall’acqua e che durò giusto il tempo necessario affinché la sua coda potesse trasformarsi in gambe, molto veloci. Il tonfo sul molo emise un rumore sordo e Norberto non ebbe nemmeno il tempo di realizzare cosa fosse accaduto che si trovò scaraventato in acqua, molto in profondità. Momo lo teneva per il collo e lo portava verso gli abissi. 

Più scendevano, più Norberto perdeva la capacità di dimenarsi, fino a che perse i sensi, un secondo dopo aver toccato il fondale.

Un tritone, anche se non sa di esserlo, quando tocca il pavimento della sua casa, risveglia la sua natura. Gli amuleti che indossa brillano e riportano in vita gli antichi poteri. Il corpo si trasforma e fa ritorno alla sua forma originaria esibendo le squame magiche sulla possente coda. 

La sua nonnina lo attendeva, sul fondo del mare. Era un sirena vecchia e saggia e il nipote gli era mancato immensamente. Gli prese le mani e lo rassicurò, come solo lei sapeva fare. Con un abbraccio sprigionò il potere dell’acquamarina e, improvvisamente, tutto fu chiaro per Norberto: la conoscenza della storia e del patto, di dominio comune al popolo del mare, diventò anche il suo stesso sapere. E capì il perché delle frecce e la determinazione di sua sorella, Milvia. 

“Momo, fratello, è necessario che Milvia comprenda quanto ci si senta combattuti e che si cambino le regole: il popolo del mare è sempre stato libero e tale deve rimanere.”.

Norberto affiorò in superficie. 


***


In una notte di luna piena, a Copenaghen, le acque del porto scintillavano sotto il chiaro di luna. La città era immersa in un sonno tranquillo, ignara del grande cambiamento che stava per abbattersi su di essa. Sotto la superficie dell'acqua, nel regno nascosto del popolo del mare, sirene e tritoni si riunivano in un consiglio straordinario: “Sono stolti, irrispettosi, non hanno un briciolo di compassione e si stanno autodistruggendo. Ma questo sarebbe il meno. Il vero problema è che distruggono anche tutto quello che incontrano, abitano, coltivano. E come stanno riducendo il mare…”, Re Baris era risoluto: aveva visto davvero troppo negli anni di regno, accanto alla sua amata regina, Leylin.

Continuò il re tritone: "Basta, fermiamoli! Lanciamo l'incantesimo dell'infertilità su di loro. Così non potranno più riprodursi e lentamente spariranno.".

Un mormorio di approvazione serpeggiò tra la folla. Quella notte stessa, sirene e tritoni arcieri uscirono dalle acque. Armati di frecce rosse incantate, si aggiravano per le strade silenziose di Copenaghen. Le frecce volavano silenziose, colpendo le case degli umani. Ogni freccia portava con sé l'incantesimo che rendeva gli umani incapaci di riprodursi.

Il caos esplose al mattino. Le persone si svegliarono trovando frecce rosse conficcate nelle loro porte, nelle finestre, nei muri. Ma il panico non scoppiò subito, ci misero un po’ a scoprire che non potevano più avere figli. Lì ci fu una vera ondata di disperazione. 

La regina Leylin, assai saggia, prima di vedere il peggio e prima che la disperazione potesse trasformarsi in violenza, propose un accordo al consiglio dei mari, il quale lo approvò. Così Leylin emerse, con le sue sorelle, dalle acque e chiamò gli umani, attirandoli con le loro incantevoli ballate. Quando tutti furono riuniti al porto: “Umani," disse con voce melodiosa, ma ferma: "Da troppo tempo vi vediamo commettere imprudenze e crudeltà. Siete le specie meno intrisa di compassione tra tutte quelle che abitano il pianeta. Non vi è motivo che venga perpetrata la vostra progenie. Quindi abbiamo lanciato un incantesimo su di voi: non potrete più riprodurvi.”.

Gli umani, a quella notizia, figurarsi: tutti a fare il diavolo a quattro e già stavano progettando la distruzione del popolo del mare. Ma Leylin, sirena dalla tempra d’oro, proseguì: “A meno che…”, ed ebbe subito di tutti l’attenzione: “Non alleviate i nostri giovani, che nasceranno come umani ma con il nostro spirito. Li amerete, li educherete e farete in modo che abbiano famiglie a loro volta. Una volta compiuto il loro destino, torneranno a noi, portando con loro la saggezza del mare.”.

Il consiglio cittadino di Copenaghen si riunì in fretta. Le discussioni furono accese, ma alla fine accettarono l'accordo. Non avevano altra scelta. Le frecce scomparvero e un rasserenante silenzio si propagò in tutta la città, con lo sciabordio delle onde. La magia dell’acqua: mostra solo ciò che vuole, cela i più profondi segreti. Due creature così diverse si strinsero le mani, sotto una luna rosso fuoco, piena di sangue non versato. 


Nelle settimane seguenti, le famiglie umane iniziarono ad accogliere neonati umani portati dal mare. Anno dopo anno, generazione dopo generazione, Copenaghen e il mondo cambiarono. Gli umani, influenzati dai figli del mare che avevano cresciuto, si trasformarono completamente, portando il mondo ad un equilibrio mai visto prima. 

Era difficile restituire i giovani al mare, sia per affetto sia per la paura che il mondo potesse tornare quello che conoscevano prima. 

Qualcuno si accorse che, se, durante la luna piena, le nuove leve fossero state dormienti prima della sua comparsa nel cielo, il richiamo del mare non avrebbe avuto influenza su di loro. E così fecero, per non restituire quelle armoniose creature al luogo di origine.

Ma il richiamo del mare non si può tenere a bada a lungo. 

Una notte l’acqua divenne nera: non vi era nessun riflesso su di essa.

Frecce rosse iniziarono a serpeggiare tra le vie, le case e i palazzi: fu lanciato un incantesimo, per destare sirene e tritoni dal sonno della luna piena e riportali a casa loro, nel mare.

Fino a che, un giovane, pare niente meno che il fratello della principessa Milvia, decise di infrangere il patto e cambiare le regole: lasciare alle creature la possibilità di scegliere se rimanere umani o tornare sirene e tritoni.

La tempra d'oro della madre era la stessa che dimorava nel cuore del principe Norberto che decise di donare a tutti il libero arbitrio per decidere a quale mondo appartenere.



-Sara-


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