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Immagine del redattoreSara

La strana nebbia delle Azzorre

Sulla loro nascita, da ogni Ninfa del mare, viene cantata una diversa versione. 

Non per inganno, ma per magia: hanno visto il verde dell’acqua fondersi con il bruno della terra e specchiare le chiome degli alberi in così tanti modi differenti che mettere in versi una sola vicenda non avrebbe reso onore all’unione degli elementi. Ogni elemento, attraverso la tavolozza, ha creato una nuova sfumatura. Ogni sfumatura, per ogni pennellata, ha creato nuovi suoni. Per ogni nuovo suono, le radici si sono ancorate alle melodie della vita e per ogni nuova vita, il sole ha irradiato di una luce dalle calde carezze tutto ciò che vi vive.

Una manciata di isole, un’infinità di colori.

Soffia un vento caldo, anche se arriva dal Nord, e l’aria sa di fiori e spezie antiche.

Spicca un palazzo con molte guglie e altrettante colonne, arrotolate tra di loro. Talvolta sembrano s’intreccino in un abbraccio, altre che arrotolino le code. Code che corrono, dal tetto alle fondamenta, per sancire l’importanza dell’essere solenni. 

Una terrazza di tufo, nel cuore del palazzo, si apre su una vallata che nasce appena al limitare dello strapiombo delle rocce. 

Da quella terrazza, Emma respira le Azzorre. 


La luce del tramonto si riversa sulle foglie, tingendole d'ambra, mentre il vento sussurra tra i rami come una vecchia canzone dimenticata. Emma sospira, tormentata. Tuttavia, la bellezza che la circonda è talmente incantevole da richiamarla verso di sé e farla uscire dal palazzo, per passeggiare tra gli alberi.

Sbuffa e le sfugge un: “Ma perché?”

“E perché no?”, una voce ribatte. E’ un sussurro, talmente lieve che le sembra di averlo immaginato o che la stessa voce della sua mente le abbia posto una domanda irriverente.

Le esce dal naso un risolino isterico. Si appoggia ad un albero e cerca una connessione con il presente. Dura poco. I pensieri di una giovane donna corrono veloci, soprattutto quando sbattono tra gli argomenti di ciò che sta’ a cuore.

Il sussurro ritorna: “I giorni sono solo cinque, ma tu, questo, lo sai.”.

“Chi sei?”, Emma chiede piano, con timore.

“Non si sa mai chi risponde. Eppure le risposte arrivano sempre.”.

Emma si avvicina lentamente alla radura, il cuore batte in sincronia con il mormorio delle fronde. Le sue dita sfiorano i tronchi degli alberi, come a voler carpire un segreto nascosto sotto la corteccia. Il primo giorno volge al termine, il sole è quasi tramontato.

“Non so che fare”. E’ un po’ abbattuta. Cerca conforto in un pino, alto e snello, che sembra puntare dritto al cielo, come un dito teso verso l'infinito. Ma è il vento a risponderle, con una carezza sulla guancia, lieve come un bacio di fata. Si attorciglia intorno a lei, giocando con i suoi capelli e portando con sé l’eco di antiche risposte: “Le menti confuse feriscono i cuori gentili.”.

Emma è turbata da quella risposta e fa ritorno al palazzo, immediatamente e con passo deciso. 


Dorme un sonno agitato ma, con l’alba, torna nella radura, con la volontà di fare chiarezza.

Si siede a gambe incrociate e schiena dritta tra un pino, con la sua nobile generosità, un tiglio, con la sua amorevolezza longeva, e un platano, con le sue rigeneranti benedizioni.

Li osserva, si alza, gironzola tra loro, li tocca. Si sdraia, ammirando il cielo attraverso le fronde di ognuno di essi. Canta, per scacciare l’angoscia. Si alza nuovamente, balla, li abbraccia. E’ ormai passato mezzogiorno. Le viene un’idea: forse l’aiuterà meditare.

Si appoggia al tronco del tiglio, richiama le sue antenate e chiude gli occhi, cercando la pace.

La meditazione ha vita breve. I pensieri sono tali da non riuscire a stare compressi nella sua mente ed escono in uno strozzato: “Io…”

“Tu?”, la voce è attenta e solerte.

“Non so cosa desiderare.”

“Sei priva di desideri?”“

“No, ne ho troppi. Non so da dove iniziare.”

“Dallo scegliere chi vuoi diventare.”

“Ma la scelta è definitiva. Durerà per la mia intera vita.”

“Le menti confuse feriscono i cuori gentili.”.

Emma è nuovamente urtata da quella frase e se ne va, piena di frustrazione: è trascorso un altro giorno, invano. 


Dorme, di un sonno indotto, fino a tarda mattina. Sa che deve tornare nella radura, ma una repulsione la allontana da essa. Si scatena una rabbia furente, che le nasce dal petto, come un fuoco indomabile. La bellezza della radura la chiama e altro non vorrebbe che esserne parte, eppure…

Scappa, va verso il mare. Cambiare prospettiva, immergersi nell’acqua, pensa, o meglio, spera, le possa schiarire le idee. L’inquietudine non la abbandona nemmeno un attimo e sta bene attenta a non parlare al vento o a qualunque cosa sia ciò che le risponde, poiché, di responsi indecifrabili, non ne vuole proprio sentire.

Nuota, fino a sfinirsi. Corre sulla spiaggia, cerca di far entrare, attraverso gli occhi, quanto più blu lo sguardo possa accettare. Il terzo giorno saluta i raggi del sole, tinti di arancione: questo è il modo in cui introduce la sera. Emma fa ritorno al palazzo e sa che una triste notte la attende. 


E’ un nuovo giorno. Non c’è quasi più tempo per tentennare.

Corre per le scale e il passo non ha incertezze mentre punta la radura. Pare un segugio: insegue una preda.

C'è una maestosa quercia, con i suoi rami forti e nodosi, che promette protezione e saggezza. Poi il salice piangente, con le sue fronde flessuose che sfiorano il suolo, sussurrando storie di lacrime e rivelazioni. Ogni albero ha una storia da raccontare, ogni tronco è il custode di memorie antiche, ma nessuno sembra parlare alla sua anima. 

“Come faccio a scegliere?”, sussurra Emma, con lo sguardo perso nell’intreccio delle chiome.

“Emma”, sussurra il vento, come se la chiamasse per nome da tempo. “Ogni albero ha una voce, ma tu continui a cercare fuori quello che devi trovare dentro.”.

Emma rimane immobile, come se il vento avesse appena svelato una verità che aveva sempre saputo, ma che non aveva mai voluto accettare. Si guarda intorno, l’ombra delle fronde danza sui suoi piedi, e, per la prima volta, sente la stanchezza dell’indecisione gravarle sulle spalle.

“Io non lo so! Non so che bacchetta voglio!”, questa volta urla.

“Dipende da cosa vuoi farne…”, mormora il vento.

E, poi, sempre lo stesso responso, eppure ogni volta sembra avere un tono diverso: “Le menti confuse feriscono i cuori gentili.”.

Emma sospira, sentendo un peso che le schiaccia il petto. La sua mente è un labirinto di pensieri che si rincorrono, e il cuore, con la sua dolcezza ingenua, soffre per l'incapacità di trovare una via d'uscita. Si perde in quel bosco di possibilità. Passa ore a contemplare i dettagli, a sentire le vibrazioni degli alberi, a cercare di percepire una connessione. Ma niente. Solo dubbi, sempre più fitti, sempre più asfissianti.

Quell’indecisione la insegue anche nei suoi sogni, dove le radici si trasformano in catene e le foglie in veli di nebbia. Si sveglia con il sapore amaro della paura sulle labbra, con il pensiero che forse, alla fine, non troverà mai la sua strada.


Al levare del sole, nel quinto giorno, Emma si incammina verso la radura per l’ultima volta, il cuore pesante e la mente avvolta da mille pensieri.

Cammina, instancabile, per ore ed ore. Dopo un lungo tempo di silenzio, all’improvviso, sente il bisogno di parlare con quella voce: “Cosa vuol dire la frase che mi ripeti da giorni?”.

“Perché non riesci a scegliere la tua bacchetta? Di cosa hai paura?”.

“Di non compiere la scelta giusta.”

“Giusta per chi?”.

“Per me.”

“Solo per te?”

Emma ha una stretta al cuore: “No, non solo per me.”.

“Ammetti quello che vuoi e prendilo, con coraggio.”

“Non posso…”

“Certo che puoi. Forse non vuoi…”

“Non posso.”

“Puoi.”

“E tu come lo sai?”

“L’ho già visto. Dalla nascita delle Azzorre io sono qui. Queste isole sono state create dalla magia. Racchiudono tutti questi alberi esattamente per far sì che i maghi, al loro venticinquesimo compleanno, possano stare a contatto, per cinque giorni, con loro e scegliere la propria bacchetta. Non ti vuoi sbilanciare. Di cosa hai paura?”

“Della parte che perdo.”

“Ogni scelta implica una perdita.”

“Lo so. Quello che non so è decidere a quale parte rinunciare”.

“Però sai anche bene quali sono le conseguenze riservate a chi non sceglie.”

“Sì.”

“Le menti confuse feriscono i cuori gentili.”.

“Quali cuori gentili?”

“Il tuo. Tutti.”

“Non capisco.”

“Il tuo è parte del tutto. Quindi tutti.”

“Continuo a non capire.”

“Chi aspetta una decisione dona la gentilezza dell’attesa.”

Emma inizia a comprendere. Qualcosa la chiama. Si avvicina ad un albero dalle foglie di un verde scuro e profondo, quasi nero, che sembra assorbire la luce intorno a sé. Le sue mani tremano mentre sfiora la corteccia, e, in quel tocco, sente un fremito di magia.

“Sei tu la mia bacchetta…”, mormora.

L’albero la attrae donandole una gioia che non aveva mai provato prima. Sente un calore avvolgente, lo desidera. Non vede l’ora di staccarne un ramo. Lo cerca, lo vede: è un ramo sottile e con cinque nodi. Un ramo giovane, ma molto scuro. Lo stringe tra le dita e con un colpo deciso lo stacca con precisione. Tenerlo tra le mani le infonde un senso di potere che la fa sentire molto viva. Emma si ricorda di che albero si tratta. La colpisce, come una lama gelata, il dubbio. E’ rimasto lì, latente, come una nebbia che non si dirada.

Il vento soffia ancora una volta, ma non c’è dolcezza nella sua voce. È un sibilo tagliente, un avvertimento: “La tua indecisione ti condanna.”

Emma non riesce a scacciare il dubbio: il ramo le cade dalle mani.

“Le menti confuse feriscono i cuori buoni e gentili,” ripete, con una nota di tristezza.

Le parole del vento risuonano come un giudizio irrevocabile. Emma sente un velo scendere su di lei, una nebbia fitta che le offusca la vista e le stringe il cuore. La tristezza la avvolge, come un manto pesante che le impedisce di respirare. È condannata a vagare nella nebbia della sua stessa indecisione, intrappolata nella sua scelta non compiuta.


***


Un fenomeno strano si verifica, di tanto in tanto, alle Azzorre: sul finire del pomeriggio cala una nebbia densa. Davvero molto fitta. Non bisogna essere attenti osservatori per poter distinguere ogni piccola gocciolina che la compone, poiché sono gocce grigie, di fumo, rotonde, perfette. Stanno sospese, tremano, l’una vicina all’altra, come se ci fosse un diapason ad accordarle, in una frequenza ben determinata. 

A chiunque si trovi immerso in questo fenomeno sembra di udire una melodia, rassicurante: “Se passeggiate qui, in mezzo a questa gocce, la vostra tristezza scomparirà, perché esse sono composte da una tristezza ben peggiore.”. 

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