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La civetta del chiaro di luna

Aggiornamento: 1 mag



Scosto la tenda grigio perla. 

Dalla finestra della mia camera posso annusare il cremisi dei tetti del Municipio. Mi rimandano al colore del suo boulevardier, poggiato sul comodino. 

Lui sta lì, sul letto. Ha ancora la mano protesa verso il cocktail, ma dorme, da un pezzo. Solo io non mi do pace per quello che è accaduto, qui.

È stata una notte intensa. 

L’orologio astronomico scandisce non solo le ore, ma anche le nostre vite. 

L’ho sempre pensato: come possiamo immaginare che, se la luna muove le maree, anche ogni pianeta non abbia una qualche influenza su di noi?

In realtà, questi erano i pensieri che facevo da piccola, solcando i mari sulla nave, insieme ai miei nonni. Guardavo la costa, dallo specchio di sale, e beh… certo non potevo prevedere dove sarebbe andata persa la mia innocenza di bambina. Pensavo alla luna, una piccola palla nel cielo con un così grande potere. Quello che brama ogni marinaio: muovere i mari. E così volevo essere io: una piccola, ma luminosa, dominatrice dei mari. In un certo senso… beh, lo sono diventata.


“A cosa pensi, bella Civetta?”, la sua voce mi fa trasalire un poco.

Ha dormito profondamente. Non molte ore, ma quelle che non ho potuto io.

Lui è abituato, nella sua Torino. Ma qui, oh no, qui a Praga queste cose non accadono. Mai.

Siamo al vertice, qui. Non esiste che, alla sommità, ci si abbandoni a queste forme di ribellione. Qui è tutto perfettamente in equilibrio. 

L’orologio è illuminato dal sole, splende. La maggior parte della gente che sta passeggiando nella piazza del Municipio è del tutto ignara di cosa sia successo poche ore fa.

Distolgo lo sguardo appena inizia la nuova frase: “Non credo che continuare a fissare l’orologio cambierà qualcosa.”, biascica, mentre fa leva su un gomito per alzarsi.


Indugio, con lo sguardo, su di lui: “E’ un caso, Ispettore?”, il mio tono è pungente, lo so. 

Lui fa la sua tipica smorfia di chi non è ancora pronto per i sermoni. 

Mi schiarisco la voce, aspetto di avere la sua attenzione e… beh, ha chiesto lui a cosa stessi pensando: “Sai… quando sono arrivata a Praga (oh, cielo!, quanti anni sono passati!) la musica si sentiva appena. Le strade erano davvero fredde. L’arte stava appassendo. Il triangolo si era rotto. 

Nessuna delle Civette voleva abitare qui. Tutti sapevano che avremmo vissuto in uno stato di “encomio dalla notte”, di benevola calma. Quella stessa calma che avevamo bramato per molto tempo, soprattutto dopo la strage del 1860 (di cui nessuno scrisse).

Siamo stati così bravi a nascondere tante cose dietro le guerre umane…Davvero bravi. A questo servono le Civette. Tutto sotto controllo, ovvero tutti senza una vera occupazione, se non la sorveglianza. 


A me, invece, la noia, è sempre piaciuta: una bolla dalla quale ricostruire e scoprire. Alla noia, io, devo tutto. Mi ha fatto conoscere l’antidoto ad ogni mio male. Una Civetta, senza nulla da vigilare, si rifugia nella notte per conoscerne i segreti. E Praga, il nostro vertice, è una città che, di segreti, ne ha quasi ad ogni angolo. Certo, bisogna avere gli occhi giusti per guardare.”.


Lui accenna un sorriso: ha capito che la sto prendendo larga. Inoltre non gli ho mai raccontato questa storia e lui è voracemente curioso di dettagli, sempre. È così da quando ne ho memoria. Per questo è così bravo nel suo lavoro. Beh… no, in realtà per questo è così bravo in tutto quello che fa. 


So di avere ampio spazio per continuare, da come si è creato spazio tra i cuscini: “In piena repressione, proprio accanto al Teatro Nazionale, una musica veniva, lieve, dal Café Slavia. Entrai. 

Le tapparelle erano chiuse, nulla si poteva vedere dalla strada. Ma io vidi qualcosa che riuscì a sorprendere una Civetta: il tango.

I tavolini, spostati a cerchio ai lati della sala, facevano spazio ad una grande pista da ballo, gremita di persone che si divertivano. Il giradischi riproduceva musiche d’avanguardia e i corpi sudati ne chiedevano ancora, insaziabili. 

In quanto rappresentante delle Civette, di più alto rango, per giunta, avrei dovuto fare rapporto per quell’oltraggioso uso della musica, del corpo, dell’aggregazione non autorizzata. Ma sono sempre stata una Civetta atipica, sinceramente simpatizzante per l’arte, le riunioni di intellettuali, incontri di attori e musicisti e di tutto ciò che colora il mondo. 

Non solo non feci rapporto, ma me ne innamorai. 

Il tango è sempre stato l’amore più fedele della mia lunghissima vita. 

Ogni strappo, ogni delusione, ogni ferita, ogni fallimento: un balsamo per rimettere tutto al posto giusto, di nuovo e di nuovo. C’era sempre. 

Mi ha salvata in molte occasioni e l’ha fatto anche stanotte.”


Lui è stupito. Non me ne sorprendo: nella sua Torino, queste cose, non fanno scalpore. 

Un interrogativo gli si dipinge tra le increspature della fronte: “Questa è la storia che narra di come una Civetta sia diventata la luna che domina i mari?”. La sua affermazione, ora, stupisce me. 

Continuo, senza cedere alla provocazione: “Le cose sono molto cambiate dagli incontri clandestini al Cafè Slavia. E’ passato… oh cielo! Quanto? Un secolo? Già. E non metaforicamente, letteralmente. La musica è tornata a suonare in città, da tempo. Si balla liberamente, gli artisti si aggregano, gli attori girano pellicole. Da non credere a quanti cambiamenti io abbia assistito. E, in tutto questo tempo, la mia reputazione si è solidificata, diventando parte integrante dell’istituzione che rappresento. Cosa pensi che sarebbe accaduto se, per caso, io non avessi avuto un alibi per questa notte? Oh cielo! È stata proprio una gran fortuna che la maratona si sia svolta questo week end. E una gran fortuna essere stata proclamata, su tutti i giornali, ambasciatrice della Praga Tango Marathon.”.

“Oh cielo! è diventata la tua nuova esclamazione preferita, Myr?”, si prende gioco di me, il bastardo.

Non colgo la provocazione nemmeno questa volta: “Dimmi, Ispettore, cosa ne sarebbe stato, di me, se non avessi presenziato ad un tale evento e non fossi stata, costantemente, sotto gli occhi di tutti mentre si palesava questa… come vogliamo definirla, Ge?”.


Lui ha capito il punto. No, non è che lo ha capito. Si è solo svegliato e ha ritrovato la lucidità. Inizia a capire quanto siano scossi i miei nervi.

“Myr…”, il suo tono è blando. Quasi mi spaventa da quanto è morbido. 

Io, invece, divento una furia. La mia pelle cambia colore, si alza, crepita. La Civetta che è in me sta sbattendo le ali, apre il becco, è pronta a cavargli gli occhi, se necessario: “No! Myr un cazzo. Non ti azzardare a riempirmi delle tue frasi di circostanza. Cosa credi? Che non abbia capito a che gioco stai giocando? Ricomparire, dal nulla, dopo… quanti anni? Per…? Dimmelo, se ne hai il coraggio! Forza!”.

Lui abbassa lo sguardo. L’ho stuzzicato, lo so. Lo vedo da come la sua pelle cambia colore. La dentatura si protrae in avanti. Sta annusando l’aria. Sente la mia rabbia, mentre sta caricando e trattenendo la sua.

Io lo guardo, come lo guardo sempre: rapita, sconvolta, bruciante di ira e… prosciugata. Glielo vorrei spaccare in testa quel bicchiere di cristallo con il suo boulevardier, giuro. 


Dal letto balza verso la finestra, mi cinge il collo con una mano, mi blocca la spalla con l’altra e mi costringe a guardare il cremisi dei tetti. Accanto al mio orecchio, scandisce le parole: “Vedi quel maledetto orologio, Myr? Lo vedi? Li vedi quei quadranti del cazzo che girano, e girano, e girano? Prima con le ore, poi con i minuti, poi con i segni zodiacali, che ti sono tanto cari - ah! tu e i tuoi pianeti e la tua luna! Andate a farvi fottere! Civetta arrogante! - e gli apostoli!”. 

Fa una pausa e cambia tono: “Ooooohhh cielo!”, mi imita. 

Mi manda su tutte le furie. Sento le vene del collo che pulsano e che mi tolgono parte di ossigeno al cervello. Le ali si stanno dispiegando. Più mi allunga verso la finestra, più gli artigli sono pronti ad esplodere dalla mia carne.

“Lo sai che cosa abbiamo fatto, stanotte?”, ora il suo tono è roco e la sua dentatura sempre più sporgente. Ha il naso piantato nell’incavo tra la mia clavicola e la giugulare. Ma non oserà, lo so. Mi sta solo annusando. 

“Abbiamo?”, sibilo io, mentre lo fulmino con la fessura dell’occhio, che brilla. “Io non ho fatto nulla. La pelle, su quel dannato orologio, non l’ho di certo appesa io, Ge!”.

Lui allenta un po’ la presa. Io continuo: “Ma che idea malsana è questa? Cosa pensi, che non abbia letto della pelle rinvenuta attorcigliata al pilone della Basilica di Superga?”.

Lui torna a stringere e sprofonda ulteriormente il naso nella mia spalla: “Ah l’hai letto, eh, signora della luna e dei mari? Il patto, Myr, non è una cosa da sottovalutare.

Dimmi, pranzate bene, voi Creature, qui a Praga? Mentre, a noi, lasciate gli scarti impoveriti all’altro vertice del triangolo? E a Lione? Come se la stanno cavando? Lo sai? O non te ne importa più nulla?”.

Vede che i miei occhi brillano, caricati dal potere della luna. Sarà anche l'Ispettore capo, ma io sono la Civetta maggiore. Se dovessimo trasformarci, non scommetterei sulla buona riuscita di uno dei due. Probabilmente entrambe le fazioni perderebbero la loro guida in carica. Sta oltrepassando il limite, e lo sa.

Di colpo mi toglie le mani di dosso e applaude: “Brava! Curatrice dell’arte! Una bella nomea ti sei fatta, tra le Civette. Il tuo compito, qui, è impeccabile. Ma non era questo il patto. 

Noi siamo affamati! Ci spettano solo le morti per tracotanza o indifferenza. Quando gli Sciacalli sono già passati a prosciugare quel minimo di umanità che è rimasta. L’involucro, nudo e crudo. Mentre voi, qui, banchettate a pelle e arte.”.

“Questa non è una buona motivazione per attorcigliare una pelle all’anello dello zodiaco!”.

“Oh, sì che lo è, Myr. Per ricordarti che, qui, nessuno è nato sotto una buona stella. 

Avevamo un patto. Tu ti saresti occupata di ristabilire gli animi. Di modo che ce ne potessimo cibare a morte naturale. Ma ricchi, colmi di arte. Come è sempre stato! L'equilibrio, Myr. Ma tu lo stai facendo solo a Praga. Il resto del mondo? Non è affar tuo, forse? Ti abbiamo avvertita, Civetta del chiaro di luna. Adesso basta. È giusto che tu riprenda la giusta collocazione nel triangolo magico.”.


Si allontana. La dentatura si è ritratta. La pelle di entrambi è tornata normale.

Mi guarda, due passi indietro, dopo essersi sistemato il ciuffo di capelli che gli cade sulla fronte.

Intuisco, dallo slancio che prende, che è arrivato il momento del mio di sermone: “Forse è bene che facciamo un ripassino, insieme. Che ne dici, Myr? Ti va? Sì che ti va.

Partiamo dagli umani, quelli che ci piacciono tanto: povere piccole creature, senza di noi. Certo, a loro va riconosciuto il merito dell’inventiva. Il barlume per la creazione. Ma non hanno la costanza di portare avanti quello che le loro sinapsi elaborano, in moti quasi casuali di ispirazione. Quella, lo sai bene, la dobbiamo alimentare noi, con la nostra magia. 

Ti piace, eh, ricordare i bei tempi in cui hai scoperto il tango, Myr? Ti sei sentita potente, immagino. Da un piccolo caffè hai fatto uscire la bellezza della danza. Sei stata brava, lo sei sempre stata. I bei tempi della repressione. Quando il loro “capo” aveva proibito tutto, a loro. Non erano in grado di fare nulla, nemmeno di ribellarsi alla negata libertà di espressione. Li schiacciava. Solo un piccolo gruppo era tanto audace da… nascondersi per divertirsi. Che grandi moti dell’anima e che coraggio, eh? Dei veri rivoluzionari! Te lo ricordi, vero, che i primi tempi sparimmo, del tutto? E lì ci fu la notte vera. Il buio, l’assenza del colore. Eravamo così indignati del fatto che non solo il legame tra le Creature e gli umani fosse stato sciolto, ma che non ci volessero più! Aveva sempre funzionato bene, il nostro tacito accordo di scambio: noi li ispiravamo per l’arte, in cambio erano il nostro cibo a fine corsa. Ma… troppe anime gioiose non portano alle guerre. I giochi di potere stavano scomparendo. E… il Comitato aveva deciso per la via della repressione. Il nostro contributo era diventato del tutto superfluo. 

Il grande rogo sulla piazza, te lo ricordi? Come hanno fatto, gli umani, a farci paura, a catturarci? Inspiegabile! Eppure ci sono riusciti. Tre Civette, tre Ispettori e tre Sciacalli. Tutti al rogo. I rappresentanti delle Creature bruciati vivi. E glielo abbiamo lasciato fare, Myr! Era solo uno sciocco, il loro “capo”; travestito da Senatore, investito per merito della sua eredità e ricoperto di tracotanza. Lui doveva essere il primo ad essere mangiato. E invece no, lo lasciammo in vita! 

Ma, con il senno di poi… inutile rivangare, no?

E tu? Oh, Myr! Tu sei stata stupenda! La migliore doppiogiochista che io abbia mai visto: così accondiscendente, con quel becero Senatore, eppure così risoluta nel voler rimettere in ordine le cose. Hai lavorato, implacabile, per decenni. Hai alimentato i focolai, nella notte, come solo una vera Civetta può fare, illuminando le loro anime con la luce della luna, e dell’arte, ovvio. E poi? Dove ti sei persa? Ti sei adagiata a Praga? Ma le Creature non vivono solo qui, lo sai bene! E, tu, avevi promesso che non ti saresti mai dimenticata di loro. Il tuo amato tango… ballalo, Myr. I tuoi amati poeti, fa’ che scrivano. Ancora e ancora. Ma non solo a Praga. 

Come allora, Capo delle Civette, puoi compiere una scelta. E mi auguro che sarà quella giusta. Ho portato con me Diego: si è svegliato da poco, è l’uomo giusto. Ha autocontrollo, è sensibile, ha talento. Addestralo e tieni fede al patto: un mentore per ogni città. La pelle di stanotte non sarà un problema, tutti penseranno sia stato un atto isolato, una bravata. Del resto non è certo mia intenzione che le Civette sappiano da che parte stai tu. Ma, se per la cerimonia dell’estate, Diego non sarà pronto, ti assicuro, Myr, che non avrai più nessuna buona copertura come Ambasciatrice di nessuna rappresentazione. E io mi toglierò la fame, che mi divora lo stomaco da decenni, proprio con la tua carne, dopo averti spiumata a dovere. Fosse l’ultima cosa che faccio.”.


Non oserà, lo so. Ma il cremisi dei tetti mi fissa e odora di boulevardier. Un odore che non se ne andrà dalle mie narici tanto presto, nonostante lui abbia già lasciato la stanza, portando con sé il bicchiere. 


-Sara-


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