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Immagine del redattoreSara

Verso Ovest


Trench verde militare e décolleté in vernice nude: l’eleganza è proprio lì, davanti alla biglietteria, e attende spiegazioni.

«Signora, mi rincresce molto. Il treno con le cuccette ha un guasto. Per accontentare la sua necessità di partire stasera, le possiamo cambiare il biglietto e offrire un posto in prima classe. I sedili sono abbastanza comodi per affrontare la notte. Spuntini e bevande sono inclusi.».

Iniziamo bene.

Pensa, guardandolo attraverso il plexiglass della postazione. Solleva l’avampiede destro e gioca nervosamente con il tacco sottile.

Il tizio è in imbarazzo, ma gentile.
E adesso che faccio? Perché non ho preso la macchina? Mi piace guidare di notte! Il buio, il traffico quasi inesistente, la musica a tutto volume… Ora mi toccherà rimanere tutta la notte accartocciata su un sedile scomodo. Mmh…

«C’è il caffè?». Tacco a terra e avampiede in aria, come un tergicristalli.

«Sì, certo. Open bar.», le sorride.

Mi ha sorriso: azione preventiva per scongiurare una crisi isterica. Lo sa che ha torto marcio, lo sa. Sta solo cercando di rabbonirmi.

Sospira. «Va bene. Ormai sono qui. Lato finestrino, per favore.». L’avampiede torna a terra con un tonfo.

Il tizio della biglietteria esclama, sollevato: «Certamente!».

Chissà se riuscirò a chiudere occhio.

«Quante fermate fa?».

«Non possiamo dirlo con esattezza. Dipende dai passeggeri.». Infila il biglietto nell’apertura del plexiglas: «Ecco qui. Buon viaggio.». La saluta con un cenno del capo.

In che senso dipende dai passeggeri? Ma da quando in qua dipende dai passeggeri? Non ci sono le fermate e gli orari prestabiliti?
E’ una vita che non prendo un treno.

Abbandona l’atrio della stazione, cerca il binario, sale sul treno, posa la borsa e prende posto accanto al finestrino.

Ecco che ricomincia: i pensieri della gente… come farò a chiudere occhio così? Mi sembra un treno affollato. Sarà una tortura.

Se mia nipote sapesse che ascolto questa musica mi direbbe che sono vintage! Che anno era? Il 1997! Avevo undici anni. L'estate della prima media… Oddio! L’anno in cui ho iniziato ad andare a cavallo con Margherita, l’estate di Lele! Mamma mia che cotta clamorosa! Possibile che una canzone di più di vent’anni fa mi faccia fare questi pensieri da giornaletto per teenagers? Che anno spensierato!.

La giovane donna, seduta nel posto a specchio al di là del corridoio, sta ascoltando Primavera di Marina Rei e guarda fuori dal finestrino, nostalgica.

La tizia ha una mente particolarmente veloce.

Si spazientisce.

Queste maledette pillole per il mal di testa… Devo dirlo al dottore. Chissà se è al corrente di questo effetto collaterale. Magari schiatta quando glielo dico: “Dottore, sa, le sue nuove pillole innovative e super rivoluzionarie mi fanno passare l’emicrania, però mi fanno sentire i pensieri di tutti quelli che mi sono intorno!”.
E me lo immagino a dire un “CAZZO!” tra sé e sé, che, ovviamente, sentirò.
Magari mi darà della pazza. Va beh, tanto già mi ha etichettata come tale quando gli ho spiegato come mi sentivo. Forse è per questo che mi ha rifilato queste pastiglie. Magari non sono nemmeno medicinali. Saranno funghetti allucinogeni e io sento le voci di tutti. Maledizione!
Senti, senti, ci sono altri pensieri che stanno bollendo dietro a Primavera, 1997.

“Non posso credere che se ne sia andato.”.

Ecco, appunto. Chi se n’è andato?

“Se n’è andato. Come lo dico alle bambine? Come glielo dico? Io non ci posso credere. Mi ha mollata così, senza preoccuparsi di niente. Le bambine… come soffriranno…”.

E… adesso piange. Ok, devo trovare il modo di distrarmi o tutti questi pensieri negativi mi travolgeranno. Spero non decida di attaccare bottone e che la playlist diventi più allegra.

Tira fuori un libro dalla borsa. Il treno si muove.

Uh! Finalmente partiamo!
E’ già così buio fuori. Ma che ore sono? Mmh, le otto.

Lo apre al segno.

Eeee già si ferma! Dai, ma davvero?
Sarà per un ritardatario?
Fai che non si sieda accanto a me. Con tutto il posto libero…
Eccolo. Diciott’anni? Oh ma dai! Mi prendi in giro? La maggiore preoccupazione sono le cuffiette forse dimenticate? Posso tornare ad avere diciott’anni anche io? Non c’è un ufficio richieste inusitate? Già che ho perso la cuccetta, magari mi restituiscono l’adolescenza.
Sorride ad immaginare la restituzione dell’adolescenza.

Il ragazzo si accomoda nel salottino dietro la donna di Marina Rei.

Ora che si è seduto rovisterà per almeno un quarto d’ora. Ah no! Magia: le ha trovate!

Ok. Ok, ce l’ho! Mamma, senti… ho deciso di accettare quel posto di cui ti ho parlato. Lo so che credi che non sia adatto a me, però ti prego! Puoi, per una volta, capire che il mondo è cambiato? Lo sai che l’industria fordista è passata da un pezzo? E’ un posto pazzesco! Tutti ambiscono a diventare disegnatori per la Disney!

Aaaah! Ma che sto facendo? Tanto sarà inutile! Nemmeno sentire Disney le farà cambiare idea. Già me la vedo a ringhiarmi contro di tutto. Che palle! Però ci devo almeno provare, cavolo!”.

Aaaahh quindi la maggiore preoccupazione non sono le cuffiette!

Lei lo spia, da dietro le pagine del libro che si è ripromessa di leggere. Le ricorda suo figlio: stessi ricci incolti.

Il treno riparte.

Il biondo ha una mamma ingombrante! Gli dirà che è un irresponsabile, che non pensa al suo futuro, che non ha pena per lei che lavora tutte quelle ore per mantenerlo agli studi. Studi non condivisi, ovviamente. Nemmeno a dirlo! In realtà non è altro che un modo per far sì che le graviti intorno ancora qualche anno perché si sente sola. Storia trita e ritrita.

“Ok. Allora: Mamma, ti devo parlare del posto alla Disney.”

Ah perfetto: mi devo subire tutto il copione delle prove tecniche di comunicazione. Non vedevo l’ora. Tanto è inutile, ragazzo. Non capirà.

“So che l’idea del trasferimento non ti piace, però vorrei che provassi a considerare la grandiosa opportunità che mi viene offerta… Macchè! No, non funziona!”.

Oh beh! Nella migliore delle ipotesi, ragazzo, prenderai coraggio, accetterai il lavoro, ti trasferirai, sarai, allo stesso tempo, eccitato, felice e divorato dai sensi di colpa come non mai. Nella peggiore delle ipotesi, invece, farai un lavoro dignitoso, che giudicherai una merda totale rispetto a disegnare fumetti, sarai infelice e pieno di xanax. Però mammina contenta.

Il treno si ferma.

Oddio! Di nuovo? Questo treno riuscirà a viaggiare per più di cinque minuti, prima o poi?

Un gran chiasso le affolla la mente. Stanno arrivando parecchi passeggeri. Salgono in gruppo.

Basta! Ora leggo!

Decide di ignorarli. Ignora i trolley, i pensieri, i posti a sedere. Si tuffa nel mare d’inchiostro su carta.

Un paio si siedono nel suo vagone, gli altri passano al successivo.

Il treno riparte.

Si assopisce, ma viene svegliata dalla rabbia.

Gran bella amica!”.

Si stropiccia la faccia. Ha l’impressione di aver dormito a lungo.

Che ore sono?

Cerca l’orologio sotto al polsino della camicia.

Solo le nove?

Si stira i muscoli delle braccia, allungandole in avanti.

Questo è il suo modo di ringraziarmi? La porta del mio appartamento sempre aperta, le telefonate alle 4 del mattino quando era troppo sbronza non solo per guidare, anche per sapere come tornare, l’ho coperta per i suoi casini in ogni occasione…”.

Ahia, ragazza. Questa ti ha fatto male. Ma dove sei?

Si raddrizza sul sedile e si guarda intorno.

Non ti vedo…

“Devo trovare il modo di fargliela pagare! Non può passarla liscia! E’ tutta una vita che mi ruba compiti, ragazzi, idee. Le ho perdonato tutto! TUTTO!”

Nota un capo chino, tre salottini più avanti. Capelli rosso fuoco. La ragazza alza la testa per un attimo e la vede in volto.

Ah, eccoti. Sei proprio arrabbiata. Hai la faccia dello stesso colore dei tuoi capelli!

“Certo, poverina, lei non lo fa apposta, non è in cattiva fede. Non è in cattiva fede? Certo che lo è! E’ subdola! Era la mia occasione e lo sapeva! Quegli occhioni, quella vocetta davanti al professore! Tutte le smorfie! Non ci posso credere! Non ci posso credere! E io? Come una stupida idiota: zitta! Una statua di sale con la lingua spessa! Che idiota! Giuro che quando scendo da questo treno, a costo di buttarle giù la porta, gliene stacco quattro! Non ci posso credere!”.

Cosa ti ha soffiato? Una borsa di studio? Un lavoro? Cosa?

E’ intrigata. Vorrebbe alzarsi e andare a domandare, ma non può.

Il treno è fermo, ma non ad una stazione. Fuori è completamente buio. Nessuna luce, nemmeno in lontananza. Controlla nuovamente l’orologio, lo scova a metà avambraccio e lo trascina giù, verso il polso, con l’indice, quasi a sgridarlo.

Le nove e quaranta? Dai, mi prendi in giro? Si sarà fermata la pila. Fammi vedere sul cellulare.

Scatta verso la borsa. La afferra per i manici, la apre quanto più possibile e controlla: taschino interno, sacca a metà, scomparti anteriori. Non lo trova. Cambia leggermente respiro, diventa rossa sul collo. Se la porta sulle gambe e ricontrolla, con le mani questa volta. No, non c’è.

Maledizione! Dove diavolo…?

Si alza, tira giù il trench dalla cappelliera. Fruga nelle tasche, sia esterne che interne. Il respiro è decisamente cambiato. La camicetta in raso bianco ha i bottoni superiori in sofferenza.

Oddio che caldo su questo treno!

Si toglie il foulard intorno al collo. Abbandona trench e foulard sul sedile e si china di nuovo sulla borsa.

No dai, ti prego! Dove l’ho messo?

Ora passa meticolosamente, con la mano destra, ogni scomparto, soffermandosi bene sul fondo.

Ce l’avevo quando sono entrata in stazione… o no? Che noia questi capelli! Almeno l’elastico ci sarà ancora?
Quello sciocco omuncolo! Mi ha confusa con tutti quei discorsi sulle cuccette! L’avrò lasciato sul bancone della biglietteria?

Non lo trova. Torna in posizione eretta e si tira indietro i capelli.

“Mamma, io voglio andare! No, non puoi decidere tu per me!”.

Ancora? E le cuffiette? Le hai tanto cercate, perché non le usi?
Dai, ma possibile? Dove l’avrò messo? Devo sentire i ragazzi!

“Perché se n’è andato? Tutte quelle litigate... ”.

La ragazza non smette mai di far bollire pensieri. Eppure sta ascoltando Pink degli Aerosmith! E già mi sembra un bel pezzo per allontanare i pensieri rievocati da Marina Rei.

Guarda fuori dal finestrino. Il treno è ancora fermo.

Me lo avranno rubato mentre dormivo! Ma il portafogli c’è!

Ora è rossa anche in viso.

Questo dannato treno riparte?

“Lo dirò al professore! Era una mia idea!”.

“Mamma, ho bisogno che mi ascolti con attenzione.”.

“Eppure non ha dato nessun segnale, se n’è andato e basta.”.

“Disney, mamma! Disney! Possibile che tu non capisca?”.

“Le povere bambine come faranno adesso?”.

“Mamma, è solo per un anno!”.

“Il progetto di ricerca! E io zitta! Ci ho lavorato per mesi!”.

“Le bambine… povere creature!”.

“Mamma, ti prego, puoi ascoltarmi?”.

Ha la fronte lucida di sudore, si morde il labbro inferiore.

BASTA! STATE ZITTI!

Prende il libro e lo sventola accanto al viso. Cerca di fare un respiro profondo, ma si blocca e butta fuori l’aria dalla bocca. Lascia cadere il libro sul sedile.

Ho bisogno di un caffè. E di acqua.

Si allontana, spazientita, alla ricerca del vagone ristorante. Percorre tre carrozze, sudando.

Dov’è? Devo percorrerlo tutto questo treno?

Vede il bancone del bar e allunga i passi per raggiungerlo, come fosse la sua unica salvezza.

Finalmente! Grazie al cielo!

Cerca con lo sguardo il barista.


«Viaggio lunghino, eh?» la voce arriva da una donna, seduta poco distante. Tazza di caffè in mano e mezza naturale davanti a lei, sul tavolo.

Sembra un viso che conosco.

Si guarda intorno. Ci sono solo loro due.

Ah, bene! Almeno la mia testa avrà un po’ di tregua. Del barista nessuna traccia? Cosa devo fare per avere un caffè?

«Sì, viaggio lungo e stremante. E’ buono?», facendo un cenno alla tazza.

«E’ pessimo», con una lieve smorfia.

«Giusto quel che ci voleva» e torna a guardare il bancone.

«Il barista è andato a prendere dell’acqua. Ha detto che tornerà tra poco. Ne vuoi un po’ della mia? Sembri assetata, cara. Prendi un bicchiere.».

«Lei è davvero gentile. Sì, grazie. Ne ho un gran bisogno.».

Si siede accanto alla donna.

Non sento i suoi pensieri. L’effetto della pastiglia sarà finito. Questo significa che tra poco avrò anche mal di testa.

«Mi scusi, ha l’ora? Temo che il mio orologio si sia fermato e non riesco a trovare il mio telefono.».

«No, mi dispiace. Non porto più l’orologio.».

«E’ in pensione? La prima cosa che fece mio padre, quando andò in pensione, fu prendere tutti gli orologi e metterli via, in un cassetto.».

«No. E’ che trovo un inutile spreco di tempo chiedersi costantemente se sia tempo, capisci cosa voglio dire?».

«Credo di sì, in un certo senso.».

Però questo vale se non hai niente da fare: orari da rispettare, scadenze, riunioni, bambini da portare a scuola...

La donna la guarda mentre tira giù il bicchiere d’acqua in un solo fiato. «Siamo fermi, ormai, da molto...».

«Già. Sarà guasto anche questo? Sa, non sarei dovuta essere su questo treno. Ne avevo prenotato un altro, con una cuccetta per la notte. Ma era fuori uso e mi hanno convertito il biglietto con un posto in prima classe. Spero non ci siano problemi. Devo arrivare in orario assolutamente!».

«Dove stai andando, cara?».

Esita. Prende l’acqua, se ne versa un altro bicchiere e lo finisce, di nuovo, in un sorso.

Dove sto andando? Mi esplode la testa.

La donna la guarda, senza perplessità.

«Credo… a Ovest.».

«Lì andiamo tutti.».

«Sempre che non si muoia su questo treno!» con un sorriso ironico.

La donna non contraccambia il sorriso. Le guarda la mano: «E’ molto che...?».

Guarda anche lei la sua mano.

Ah, il segno della fede.

«Cinque anni.».

La donna la interroga con lo sguardo.

«No, è che... non sono separata. Incidente d’auto. Ho trovato il coraggio di toglierla solo pochi giorni fa.».

Il treno riparte, lento.

Grazie al cielo si muove!

«Hai figli?».

«Due. Un ragazzo, di 23 anni, Alessandro, studia medicina e Cristina ne ha 16. Liceo classico, anche se di classico, lei, non ha proprio niente.». La bocca le fa una curva. Non è un sorriso, è solo amore, rassegnatamente fiero.

«Sono grandi, ormai. Credi che se la sappiano cavare?».

«Starò via solo due giorni, li ho affidati a mia sorella.».

«Sei stata una brava mamma?».

Che domande!

«Credo di sì, ma forse credo male. Insomma: non è tipico di ogni genitore? Prendi tutto quello che hai odiato dei tuoi e cerchi di non fare le stesse cose, ma poi, spesso, ti ritrovi a pensare “Oddio! Sono diventata come mia madre!” anche se, a tuo marito, questo non lo confesserai mai, nemmeno sotto tortura.».

Anche se, io , un marito a cui confessare o non confessare queste cose, non ce l’ho più.

«Allora sei stata una brava mamma!».

Ridono.

«Sono passata per il tuo vagone, prima. Non è molto affollato, ma mi è sembrato di percepire un'atmosfera un po’ tesa.».

Sarà una persona molto empatica, per questo le sto confessando la mia vita?

«Sì, pare che siano molto presi dai loro pensieri. Che poi è buffo, se ci si pensa. A volte alcuni problemi ci appaiono così grandi, irrisolvibili. E magari... magari è una questione di età!». Come per il ragazzo biondo. «Ma no! Sa cosa credo? Che sia una questione di cuore. Più ne hai messo e più, quando non riesci a districare quel nodo, ti sembra quasi di morire.».

«Chissà perché tutta questa paura di morire. In fin dei conti lo facciamo tutti, più volte nella vita. Dovremmo essere abituati, preparati.».

«Che vuole dire?».

«Una delusione, un tradimento, un progetto fallito, un lutto, un amore finito, una grave umiliazione. Ci sentiamo come se stessimo per morire perché è un po’ così. Muore quella fase della nostra vita, quella parte di noi e, poi, se sappiamo essere abbastanza possibilisti, si rinasce: un nuovo progetto, un nuovo amore, un modo per trasformare quel dolore in qualcos’altro e così via.».

Sì, tutto bello. Sembra facile detto così.

«L’importante è riuscire a lasciar andare. Ti sei chiesta come mai questo treno è così lento?».

Se me lo sono chiesta? No, non particolarmente. Solo otto volte al minuto, più o meno, da quando sono salita.

«Gliel'ho detto, sospetto ci siano dei guasti sulle linee...».

«No, nessun guasto sulla linea. E’ solo perché tutti, quando salgono su questo treno, non lasciano andare. Lo sai anche tu, no? Capelli rossi è arrabbiata, l’ha tradita un’amica.».

Ok, è pazza. Ma il barista? Dai! Dai! Torna! Salvami da questa conversazione!

La donna incalza: «Il ragazzo?».

Il ragazzo. Come mi ricorda Alessandro! Il ragazzo? Ah, si.

«Non accetta il rifiuto della madre.».

«Esatto. E’ una specializzazione. Se ti può far stare meglio, sarà un grande medico.».

Come lo sa? Ma poi cosa c’entra? Il barista?

«La ragazza nostalgica, invece, non si rassegna all’abbandono. Non ti ha abbandonata, è stato un incidente.».

Ma che sta dicendo?

Si preme le dita sulle tempie.

«Da quanto tempo soffri di emicrania?».

«Poco più di un anno. Esco ed entro dall’ospedale. Quando si dice ironia della sorte, sa? Il Dottore che mi segue mi ha dato delle nuove pillole, molto potenti, ma la scorsa settimana mi si è annebbiata la vista e ha deciso di ricoverarmi.».

E non sono più uscita dall’ospedale. No, sono uscita, ma…

«Devi lasciar andare, cara.».

Cos’è uno scherzo?

«I ragazzi.».

«Staranno bene. Lo sei stata davvero, una brava mamma.».

«Ma hanno già perso il padre…».

No, ma che dico? Sono uscita dall’ospedale! Sono uscita, no?

«Devi lasciar andare.».

«No, io non…».

E… non sono più uscita dall’ospedale?

«Siamo fermi, nel limbo, per te, tesoro. Devi accettare e lasciare andare.».

«I ragazzi…».

«Siamo nel limbo, tesoro. Devi lasciar andare.».

Lo sente, il treno. E’ fermo, in attesa.

Si abbandona allo schienale e guarda la donna che le sta davanti. Gli occhi le si riempiono di lacrime, che ributta giù sbattendo le ciglia. Sospira.

E non sono più uscita dall’ospedale.

Ora il treno viaggia veloce. Nel buio, verso Ovest.


- Sara-


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