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Immagine del redattoreSilvia

Lily la sirena

Aggiornamento: 21 giu

Era ormai da qualche anno che Anne viveva in quell’ospedale.

Per parecchio tempo, la sonnolenza dovuta ai farmaci che le imponevano di assumere le aveva impedito di lasciare la sua stanza, ma ultimamente il suo comportamento tranquillo e qualche necessaria strategia di sopravvivenza avevano portato a delle cure con effetti molti più blandi.


Così, la voce che da sempre le circolava in testa, quella dell’onnipresente signor P., in alcune notti la spingeva a esplorare, non vista, le stanze e le vite di altri pazienti ricoverati, a scandagliare fino in fondo l’oscurità dell’animo umano.  Non sapeva spiegare il fascino e la curiosità che queste esistenze folli e interrotte le suscitavano. Più vi entrava in contatto, maggiore diventava la consapevolezza del fatto che la vera follia era generata dall’eccessivo controllo, in tutti i sensi. 


In una di queste strane notti, passeggiando ai confini tra incubi e realtà, incontrò Lily, la paziente sirena.

Era così che la chiamavano gli operatori, sempre con un velo di inquietudine nella voce. Nessuno voleva mai assisterla, specie durante i pasti, anche perché l’odore delle alghe – l’unico cibo che accettava come nutrimento – sapeva di marcio e di putrido, di fango e di fondale maleodorante, lo stesso miasma che ormai era impregnato nella sua pelle e che contagiava come un morbo chiunque la avvicinasse.


Anne passò qualche minuto a osservarla, ignorando il fetore che emanava la sua presenza, mentre cantava sommessamente e piangeva rivolta alla luna, convinta tuttora di essere davvero la sirena di Copenaghen, catturata e imprigionata dagli umani. Nonostante fosse ormai anziana conservava una voce bellissima, angelica e profonda al tempo stesso, debole ricordo degli anni in cui si esibiva all’opera di Copenaghen e ammaliava folle di spettatori accorsi per ascoltarla.


Come aveva potuto una creatura tanto affascinante nascondere un lato oscuro e diabolico, come riportavano le cronache del tempo?


Durante gli anni della sua brillante carriera, lungo la costa vicino al teatro dell’opera di Copenaghen si aggirava una donna che, avvolta dalla nebbia marina, ammaliava con il suo colorito pallido e l’aria fragile gli uomini che passeggiavano lì intorno. Pareva una splendida sirena, una creatura ultraterrena e innocua capitata per sbaglio o per fortuna tra le braccia del passante: eppure, il bagliore delle onde notturne celava uno spirito folle e maligno.


Lily seguiva un rituale molto preciso. La sua mente, frammentata e distorta, aveva creato una realtà parallela in cui era la sovrana dei mari, chiamata a nutrirsi degli uomini che incontrava durante la notte. Al termine del concerto, attendeva in teatro che calasse il buio completo.

Poi, la follia prendeva il sopravvento.


Si dirigeva sulla costa, sceglieva una spiaggetta al riparo delle luci della capitale.

Si spogliava completamente.

Scioglieva i lunghi capelli biondissimi, quasi bianchi.

Si dirigeva sulla riva del mare, dove iniziava a cantare sommessamente e a giocare con le onde.

A un certo punto, quando scorgeva un uomo solitario che si avvicinava, fingeva di immergersi in acqua e di affogare, in modo che il malcapitato si gettasse in suo soccorso.

Con un segnalibro appuntito e metallico - quello che di solito usava per girare le pagine dello spartito -, trafiggeva la gola del poveretto, riportandone subito dopo il cadavere sulla riva.

Lì, in un antro nascosto tra le rocce, ricopriva di alghe marine le membra inerti, prima di consumarne la carne. Il sapore del sangue e delle alghe intrecciati insieme era per lei l'essenza della vita stessa, un richiamo primordiale a cui la sua follia non riusciva a resistere.


Dopo, si rivestiva e tornava alla sua vita di sempre, apparentemente dimenticando quanto aveva appena commesso: era come se uno spirito degli abissi albergasse dentro di lei, un’essenza bestiale ingovernabile, sfogo famelico di quella libertà che mai, tra esercitazioni vocali estenuanti e vita rigidamente controllata, si concedeva di sprigionare. 


Le sparizioni lungo la costa avevano cominciato a terrorizzare gli abitanti della capitale, ma nessuno poteva immaginare che fosse Lily, stupenda e con la sua voce così perfetta, la responsabile. Si mormorava di una creatura marina, di un mostro che si celava negli abissi. Nessuno avrebbe mai sospettato che la minaccia provenisse da un essere del tutto umano.


Una notte, il destino cambiò.


Durante uno dei suoi rituali successivi all’ennesimo concerto sold - out, Lilly venne smascherata da un pescatore della zona, un certo Peter. L'uomo, vedendo che non riemergeva dalle onde, come di consueto si gettò in mare per salvarla. Era diverso dai soliti bagnini improvvisati: l’esperienza in mare aperto l’aveva reso pronto ad affrontare qualsiasi minaccia. Tra i flutti era perfettamente a suo agio.


Così, quando la donna tirò fuori l’arma e gliela puntò alla gola, riuscì solo a ferirlo lievemente sulla guancia, prima di venire disarmata. Peter rimase inorridito nel vedere che, nonostante non fosse riuscita ad ammazzarlo, quella bestiale ma splendida creatura cercava ora di assaggiarne le poche gocce di sangue colate durante la lotta sugli scogli.

Notando che era distratta dalla caccia, il marinaio riuscì a fuggire e a dare l'allarme, prima che Lily rinsavisse.

Le autorità intervennero rapidamente, trovandola in uno stato di estasi, immersa tra le alghe e i resti della sua precedente vittima.


Dopo un processo dall’enorme clamore mediatico, le venne riconosciuta la piena infermità mentale e fu internata nell’ospedale psichiatrico, lo stesso dove ora veniva osservata da Anne e dal Signor P.


La sua mente frantumata negli anni aveva cercato di adattarsi a quella nuova realtà.

Privata dell'oceano e delle sue vittime, totalmente fuori controllo, Lily era dapprima caduta in uno stato di profonda apatia. Gli psichiatri avevano tentato di curarla, ma con l’aumentare del dosaggio dei farmaci la sua convinzione di essere una sirena si era radicata ancor più profondamente. Per controllare la follia artificialmente, le era stato impedito forzatamente di cantare. A quel punto, la sua psiche si era definitivamente rotta in mille minuscoli pezzi.


L'unica cosa che la calmava era il contatto con le alghe marine, che il personale dell'ospedale le forniva per cercare di alleviare il suo tormento.


Col tempo, Lily cominciò a nutrirsi esclusivamente di alghe. La carne umana non era più disponibile e lei, nella sua follia, si adattò a questa nuova dieta. Le alghe divennero il suo unico sostentamento, un fragile legame con la sua identità immaginaria. Il personale la osservava mentre mangiava con voracità, i suoi occhi persi in un mondo lontano, sommersa tra le onde del delirio.


Con il tempo, Lily divenne una leggenda.

I nuovi pazienti sentivano parlare della donna e osservavano con ribrezzo quella creatura putrida dai capelli candidi e lunghissimi, che credeva di essere una sirena e si nutriva solo di alghe.

Il personale, pur non comprendendo la profondità della sua malattia, aveva imparato a rispettare i suoi spazi e rituali. Lily trascorreva le sue giornate in una stanza piena di conchiglie, alghe e coralli: un angolo di pace nell'oceano della follia.


Quella notte, Anne la ascoltava cantare e piangeva con lei, pensando a quale bieca sofferenza doveva aver causato un tale stato di cieca follia.


Lily morì poco tempo dopo, in una notte di tempesta. La sua ultima visione fu quella del mare che la chiamava, le onde che si alzavano per accoglierla. Forse, finalmente, trovò la pace che cercava, immergendosi per sempre nelle profondità dell’abisso da cui credeva di provenire.


 

Silvia F.


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