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La Paura, il re Leone e altri traumi

  • Immagine del redattore: Silvia
    Silvia
  • 23 feb
  • Tempo di lettura: 2 min


Di cosa hai paura?

Ecco una domanda che mi è stata posta centinaia di volte.

Io non sono mai stata molto coraggiosa, nemmeno da bambina.

Durante il Re Leone, quando Scar tradisce Mufasa, sono letteralmente scappata dal cinema.

Fino ai 15 anni per dormire lasciavo una luce accesa, perché mi pareva che le ombre notturne celassero mostri e segreti oscuri.

In realtà in parte mi attiravano, ma già è complicato parlare con i vivi di giorno, figuriamoci sussurrare con degli spiriti di notte.

Crescendo, mi sono chiesta più volte se gli altri provassero altrettanta paura all’idea di stare in mezzo alla folla, di parlare in pubblico, di avere a che fare in qualsiasi modo con altre persone, di iniziare o finire qualcosa, dell’autorità, dei conflitti, della rabbia… Potrei continuare all’infinito.

Vorrei dire che grazie alla scrittura e al teatro ho imparato a incanalare in modo creativo le mie paure, a farne parola e racconto, che vivo una vita equilibrata e che oggi sono un’adulta risolta: leggendo quest’affermazione, le poche persone che ho la fortuna di chiamare amiche rideranno di gusto.


Oltre alle rughe, ai chili di troppo e al mal di schiena, ho scoperto che l’età adulta non porta quella maturità che immaginavo, quella favola che ci piace raccontare agli adolescenti di ogni tempo.

La verità è molto più semplice e meno poetica di quanto ci tramandiamo da secoli: a forza di scontrarci prima di tutto con noi stessi, diventiamo un po’ più consapevoli del casino che siamo.

In questo modo impariamo a riconoscere che anche gli altri sono un groviglio di emozioni e paure - soprattutto paure, a volte diventando più bravi nell’accettare il più possibile i grovigli altrui.

Nulla di più, nulla di meno.

Ecco, io credo che se provassimo a renderci conto di questo, a riconoscere che è la paura a renderci umani, se smettessimo di fingere di essere altro e di temere costantemente che le persone scoprano che non siamo così risolti, forse non vivremmo in una società che ha fatto della paura il pilastro principale.

Forse, se al posto di chiederci di cosa abbiamo paura ci domandassimo il perché di essa, potremmo provare a costruire qualcosa di nuovo, una realtà dove l’umanità e non la paura sia al centro.


Infine, se è vero che trasformare le proprie paure in coraggio da soli è un atto da eroi (e non tutti lo siamo), lasciatemi ammettere che condividerle e provare a costruire una realtà basata su consapevolezza e incontro è un atto da esseri umani.


Intendiamoci: sono la prima a detestare la condivisione tra umani, specialmente delle proprie paure.

Tuttavia, ho scoperto che scriverne e farne movimento tramite il teatro mi aiuta a esorcizzarle.

A vivere a contatto con altre persone senza fuggire in punta all’Everest.


E voi?

Perché avete paura?

Come la incanalate?

Raccontatemelo nei commenti, se vi va!


Silvia F.


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