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Le Voci di Madrid



«Lasciami in pace.» Mormorò Anne, guardando esasperata la figura immobile che ormai da sette notti attendeva che lei lasciasse nuovamente quel letto e quella stanza, un po’ casa e un po’ prigione.

«Non posso, sei tu a chiamarmi. Sono parte di te.» Rispose con il solito ghigno il Signor P., che a dire il vero si stava divertendo in quella battaglia, fatta di farmaci e diagnosi che puntavano alla rieducazione e all’autocontrollo della paziente.

Da secoli gli uomini cercavano di controllare il caos, specialmente quello mentale.

Da secoli, più cercavano di razionalizzarlo, di limitare la sfera inconscia, peggiore era il risultato che finivano per ottenere.

E dire che la soluzione era così semplice: lasciarsi andare, vivere a pieno la propria vita, sentire prima di pensare.

Lui, alle anime in cui dimorava, chiedeva solo questo.

Non era poi un prezzo così grande, per un demone.

Alcuni suoi fratelli torturavano le menti fino alla completa follia, ne rivelavano le sfaccettature più oscure dell’animo umano.

Si divertivano a creare dei veri e propri mostri di terrore e malvagità.

Certo, anche lui trovava divertente giocare con la fragilità umana, ma solo se posto sotto strenuo, soffocante controllo.

Solo se non ascoltato, ignorato e soffocato.

In ogni caso, la follia non era quello il suo scopo primario, almeno con Anne.

L’aveva sentita anni prima, a Ginevra, era cresciuto in lei e con lei, ne aveva conosciuto l’animo profondamente libero e potenzialmente sconfinato.

In un certo qual modo, se n’era innamorato.

Poteva un demone innamorarsi di un’anima terrena? Certamente: lo stesso Ade aveva rischiato il suo trono per la bella Persefone, dea della Primavera e figlia di Demetra.

Non intendeva permettere che Anne finisse nell’oblio come tante altre prima di lei.

Per questo motivo s’infuriò quando vide che allungava la mano verso i farmaci sul comodino.

Per questo motivo la attaccò con tutte le sue forze, mozzandole il respiro e allentando la presa sui muscoli rigidi solo quando lei si mise in piedi, facendo bruscamente cadere le pillole per terra.

Per questo, quando Anne mormorò sottovoce che non esisteva niente di peggio di avere a che fare con lui, le sibilò all’orecchio: «stanotte ti dimostrerò che hai torto!»

...

Anne rimase paralizzata dalla potenza di quell’attacco.

Raramente era rimasta così atterrita dalla percezione netta di perdere del tutto se stessa, di perdere la sua stessa vita.

Non aveva più alcuna forza o via di fuga: una mano antica e ben più potente della sua si impossessò del suo corpo senza che potesse fare nulla per evitarlo aprì la porta della stanza e la guidò lungo i corridoi anonimi di quell’immensa struttura, dove tante stanze tutte apparentemente uguali nascondevano misteri e follie tutti profondamente diversi tra loro.

Anne non seppe dire quanto si allontanò quella notte, ma ebbe la consapevolezza di essere entrata in un regno diverso rispetto a quello consueto, in un reparto molto meno… Amichevole.

La paura e il senso di pericolo crebbero inesorabilmente a ogni passo: se fosse stata nel pieno delle sue facoltà, avrebbe saggiamente voltato il passo e sarebbe tornata al riparo della sua stanza.

«Brava, fai bene ad avere paura!» La canzonò una voce dentro la sua testa, senza tuttavia permetterle di arretrare di un passo.

In quel reparto si sentivano lamenti, si percepivano ombre e cattiverie impregnate dentro ai muri bianchi; apparentemente nulla distingueva quel luogo rispetto a quello in cui abitualmente era ricoverata lei, eppure l’aria, l’atmosfera era cupa, malvagia, folle e maligna.

«Va bene, ho capito! Non sei il peggio possibile. Possiamo tornare indietro, ora.»

«Ma siamo arrivati. Scopri chi c’è oltre questa porta.» rispose la voce nella sua testa in modo leggermente meno malevolo.

...

La porta era uguale a tutte le altre. All’entrata, un’anonima targhetta annunciava:

CARLOS MARTINEZ

MADRID, 32 ANNI

SCHIZOFRENIA GRAVE


Anne entrò, e nella poca luce vide un uomo apparentemente normale che la fissava con un sorriso gentile. Intorno a lui, ombre che si generavano direttamente dalla sua testa ruotarono tutte insieme lo sguardo nella sua direzione, osservandola con uno sguardo di famelica e insondabile oscurità. Con un balzo cercò di attaccarla, trattenuto solo dalle cinghie che ne imprigionavano polsi, busto e caviglie. Un urlo ne scosse le membra, mentre le ombre la guardavano ridendo impazzite. Anne si appiattì accanto all’uscio, cercando di rimanere immobile e di nascondersi nell’ombra. Com’era venuto, l’attacco si placò e Carlos cadde apparentemente in uno stato di apatia simile al sonno, mentre le ombre si rinchiusero nella sua testa.

Il Signor P. si apprestò a raccontarne la vicenda, nella ritrovata tranquillità di quella calda notte estiva.


...


Madrid è una città piena di vita, con le sue strade affollate, i suoni vibranti delle risate e delle vite che si mescolano nelle lingue e nel rumore dei passi sui ciottoli e negli enormi viali. È come se la città danzasse continuamente le note di un flamenco lontano, millenario ed eterno. Luce, danza, passione, regalità e fascino: Madrid illumina la Spagna e la guida da secoli ribadendone il profondo senso d’identità e di popolo.

Eppure, nella profondità della notte, tra vicoli oscuri e piazze deserte, la città rivelava un lato diverso, cupo, sanguigno e inquietante. Un lato che pochi conoscono, ma che tutti farebbero bene a temere.

Carlos Martinez era uno di quelli che conosceva l’oscurità di Madrid a menadito. Scapolo, viveva solo in una mansarda al quinto piano di un vecchio edificio alla periferia di Malasaña, il quartiere più underground e bohemienne della città. Era un uomo solitario, schivo, un’ombra tra le ombre, i cui occhi tradivano una mente in costante conflitto.

Era ancora un bambino quando aveva iniziato a sentire Le Voci. Voci che gli parlavano, lo consigliavano, lo guidavano. Voci che all'inizio sembravano amichevoli, che gli suggerivano come difendersi dai bulli che lo tormentavano, ma che con il tempo si erano trasformate in qualcosa di più oscuro, rendendolo un soggetto pericoloso e sinistro, incompreso sia dalla famiglia sia dagli insegnanti e dai compagni. Le voci erano cresciute con lui, uniche compagne in quei costanti rimbalzi da una scuola all’altra, un’espulsione dopo l’altra, finché la famiglia non l’aveva abbandonato a se stesso e messo in collegio: lì Le Voci erano scoppiate divenendo insistenti, violente e isolandolo del tutto dal resto del mondo.

Le notti erano il momento peggiore, soprattutto dopo il diploma, quando aveva dovuto prendere in mano la sua vita e si era iscritto all’università, scoprendo che l’universo femminile – finora a lui praticamente ignoto – lo trovava irrimediabilmente pericoloso e ripugnante. Nel buio e nel silenzio notturno, Le voci si intensificavano, sussurrandogli segreti che nessuno avrebbe dovuto conoscere. Gli raccontavano le vite nascoste dietro le finestre illuminate dei dormitori femminili, gli presentavano le ombre che si aggiravano per le strade deserte alla ricerca di chissà cosa, gli facevano sentire i sospiri di misteri a lui preclusi.

E poi, quando l’ennesima ragazza rifiutò perfino di parlargli, Le Voci iniziarono a parlargli di sangue.

Di morte.

Di come sarebbe stato facile, così facile, porre fine alla vita di qualcuna di quelle smorfiose. O di chiunque, in effetti.

Carlos lottava contro quei pensieri. Di giorno riusciva a placarli, concentrandosi nello studio e ottenendo buoni risultati. Ma di notte... Era una battaglia persa in partenza. Le Voci diventavano sempre più forti, più persuasive e indomabili.

Fino a quando, una notte, non riuscì più a resistere.

Era una serata fredda, la nebbia avvolgeva Madrid in un inconsueto mantello spettrale.

Carlos uscì dall’appartamento che aveva affittato per allontanarsi dalle tentazioni del campus, le mani tremanti nascoste nelle tasche del cappotto, i passi silenziosi come quelli di un fantasma. Le voci lo guidavano, lo spingevano verso la sua destinazione: Plaza Mayor, immensa, deserta e immersa nell’oscurità.

Una ragazza sedeva su una panchina, il volto nascosto dall’ombra di una sciarpa che ne avvolgeva il collo. Carlos si avvicinò lentamente, il cuore che batteva forte nel petto. Le Voci erano impazzite di furore, sussurravano in una lingua che solo lui riusciva a comprendere perfettamente. Sentì un impulso irrefrenabile, una necessità atavica che non aveva mai provato prima e che non poteva fermare.

Si avvicinò alla giovane, chiedendole se poteva sedersi accanto a lei. La ragazza si spaventò e si alzò immediatamente, infastidita. Allora Carlos estrasse un coltello. La lama scintillava nella tenue luce dei lampioni. La ragazza lo guardò terrorizzata e cercò di indietreggiare, ma non ebbe il tempo. Carlos si mosse con la rapidità di un predatore, affondando la lama nella carne. Il sangue sprizzò caldo, impregnando l’aria con il suo odore ferroso. Le voci risero, contente, soddisfatte, euforiche.

Ma il piacere fu di breve durata. Subito dopo, Carlos sentì un’ondata di colpa avvolgerlo, una consapevolezza che lo colpì come un pugno allo stomaco.

Cosa aveva fatto? Cosa gli avevano fatto fare?

Fuggì nella notte, lasciando il corpo dietro di sé, rifugiandosi nel suo appartamento. Le voci non si placarono. Erano diventate più forti, ormai ebbre del potere che avevano su di lui e insaziabili. Non è abbastanza, dicevano. Non lo sarebbe stato mai, ora lui lo sapeva.

Le settimane successive furono un incubo. Madrid era in preda al panico: un serial killer di giovani studentesse si aggirava nei vicoli del centro. La polizia era in perenne allerta, ma Carlos divenne abile nell'evitare la cattura. Ogni notte, Le Voci lo costringevano a uscire, a cercare una nuova vittima. Ogni volta, gli omicidi diventavano più efferati e violenti, per molti versi divennero brutalmente bestiali. Ogni volta, tornando in sé il senso di colpa si faceva più insostenibile, fino a quando la mente dell’uomo non finì per frantumarsi. Ormai, non si rendeva neanche più conto di cosa faceva: la mattina si svegliava senza avere idea di quanto aveva compiuto la notte precedente.

Studente modello di giorno. Predatore e killer efferato di notte.

Ormai Le Voci lo manovravano come un burattino.

Una sera, al tramonto, mentre stava per compiere l’ennesimo omicidio, qualcosa cambiò.

Le Voci, fino ad allora incessanti, improvvisamente tacquero. Carlos si trovò solo, in una strada deserta, con il coltello in mano e una donna che lo fissava con occhi terrorizzati mentre cercava di difendere il figlioletto dalla sua furia omicida.

La ferì a un braccio, ma quando udì il pianto disperato del bambino nel passeggino non riuscì a finirla. Semplicemente, non riuscì a farlo.

La donna urlò, richiamando l’attenzione di un passante che immediatamente chiamò la polizia. Carlos non scappò.

Rimase lì, in piedi, il coltello insanguinato che pendeva dalle mani tremanti, mentre il suono delle sirene si avvicinava a tutta velocità.

Quando la polizia arrivò, lo trovò in uno stato di totale apatia. Si lasciò arrestare senza opporre resistenza, Le Voci stranamente silenti lo lasciarono solo ad affrontare il peso dei suoi crimini. Madrid poteva finalmente tirare un sospiro di sollievo, anche se Carlos non era certo l’unico ad aggirarsi minaccioso tra le ombre della città.

Non ci volle molto perché Le Voci affamate tornassero a tormentare la mente frantumata di Carlos, che ora, dopo tanti anni in manicomio non distingue più il giorno dalla notte, come hai potuto scoprire tu stessa.

...

Il Signor P. rimase in silenzio, mentre Anne rifletteva su quel folle pluriomicida che aveva davanti.

«E non è opera tua?» Chiese Anne, in parte terrorizzata dalla risposta che avrebbe potuto ricevere.

«No. Non è opera mia. La malattia mentale ha un regno molto più oscuro del mio, in cui io non mi addentro volentieri.» Rispose gravemente il Signor P., lasciando intendere che era tempo di tornare.


Anne tornò nella sua stanza, in parte rincuorata, in parte interdetta.


Chi era, dunque, il Signor P.?

Si addormentò con questa domanda in testa, senza tuttavia riuscire a trovare una risposta esaustiva.


-Silvia-


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