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Immagine del redattoreSilvia

Le ombre di Lisbona

João passeggiava lungo le strade strette e acciottolate di Alfama, il vecchio quartiere di Lisbona.

L'ennesima mattina grigiastra. Il Tejo brillava di un pallido riflesso argenteo, accompagnato dal suono triste di un fado proveniente da una finestra socchiusa, lamento perpetuo che echeggiava lungo i vicoli.

Erano giorni che si sentiva strano, come perseguitato da qualcosa di indefinibile.

Ricordava esattamente quando quella sensazione era iniziata: da quando era ruzzolato giù per le scale del suo piccolo appartamento.

Sì, in quel momento qualcosa era cambiato.

Si era rialzato senza troppi danni apparenti, ma qualcosa, dentro di lui, era diverso, come frantumato.

Gli sembrava che un velo opaco lo separasse dal mondo.

Come se ogni cosa fosse immersa in una nebbia tanto perenne quanto irreale.

Le persone attorno a lui non lo notavano.

Nessuno lo salutava più.

I suoi amici non rispondevano alle sue chiamate.

Anche Maria, la vicina di casa, una donna anziana che non mancava mai di salutarlo gentilmente, ora gli passava accanto senza sollevare lo sguardo.


João cominciò a convincersi di essere morto: era l’unica spiegazione plausibile.

Quand’era caduto, il suo cuore doveva avere smesso di battere senza che lui se ne rendesse conto.

Ora vagava senza meta, uno spirito intrappolato tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Nessuno poteva più vederlo o sentirlo.

Camminava tra la gente sotto forma di ombra, sentendo il peso della solitudine gravare su di lui.

Provò a parlare con qualcuno, in un ultimo disperato tentativo di farsi notare.

Al mercato di Rua da Graça, si avvicinò a una giovane donna che stava scegliendo delle arance. “Desculpe,” mormorò, cercando di attirare la sua attenzione.

La donna non si girò nemmeno.

João tentò di toccarle la spalla, ma la sua mano si arrestò l’istante prima di appoggiarvisi: non avrebbe sopportato di passarle attraverso.

A quel pensiero orribile si raggelò.

Si ritrasse, inorridito da cosa sarebbe successo se avesse toccato qualcuno.

Era morto, non avrebbe più provato alcun contatto umano.

I giorni trascorrevano lenti.

João passava le giornate a camminare senza meta per Lisbona, vagando come un’anima persa, ritraendosi terrorizzato all'ipotesi di minimo contatto con un qualsiasi essere vivente.

Osservava i tram gialli sferragliare, correndo da una parte all’altra della città.

Guardava i turisti che vi si pigiavano, scattavano foto e invadevano i marciapiedi, sorridendo nostalgico nell'udire i mugugni di fastidio dei residenti; un coro a cui, in passato, si univa pressoché quotidianamente.

La sera, le voci della città si mescolavano al suono malinconico del fado, lasciando che la notte esplorasse i vicoli della capitale e li permeasse con la sua magia.


Tutto ciò per João era distante, sfocato.

Sentiva di non appartenere più a quel mondo.

Una notte di nebbia, spinto da una disperazione ormai inarrestabile, camminò fino al vecchio cimitero situato ai margini della città.

Le tombe erano ricoperte di tristezza e umidità, le croci corrose dal tempo.

Forse lì avrebbe trovato la pace, pensò.

Se era davvero morto, era il luogo a cui apparteneva.

Passeggiò tra le lapidi, fino a trovarne una che lo fece fermare di colpo.

Doveva essere la sua.

Il suo nome era inciso sulla pietra, accompagnato da una data di morte, avvenuta quella stessa settimana. Mancava l’anno e al posto del cognome c’era solo l’iniziale, ma Il cuore di João si fermò ugualmente.

Era vero.

Non era più tra i vivi.


S’inginocchiò davanti alla tomba, il corpo scosso da brividi e lacrime amare.

Il freddo della notte lo avvolse, mentre un senso di definitiva rassegnazione si insinuò dentro di lui.

Non c’era modo di tornare indietro.

Non c’era via d’uscita da quella condizione di spettro.

Ma proprio quando il silenzio della notte sembrava inghiottirlo, una voce gentile lo chiamò. “João…” sussurrò qualcuno dietro di lui.

Si voltò di scatto.

Nonostante la nebbia, una figurina sottile si stagliava di fronte a lui.

Il volto era familiare.

Era Maria, la sua vicina di casa.


Cosa ci fai qui?” chiese lei, con un sorriso gentile. “Stai lì seduto da molto tempo.

João sarebbe voluto scappare, ma non riusciva a distogliere lo sguardo da lei.

Sei… come me?

Maria annuì, sorridendo.

Oh, capita che lo sia. Camminiamo tra di loro, ma non siamo parte del loro mondo. Almeno non più. O non ancora.

Non ancora?” ripeté João, confuso.

Quando succede che qualcuno cade, a volte si frantuma un po’. A quel punto c’è una scelta da fare. Se non accetti la tua condizione, t’intrappoli qui, in questo limbo di anime perse. In alternativa, decidi di camminare tra loro, ma perdi comunque qualcosa.

João tremò.

L’idea di accettare la sua morte lo terrorizzava, ma allo stesso tempo sentiva che Maria aveva ragione.

Doveva lasciar andare.

Sospirò, chinando il capo. “Cosa devo fare?

Maria si avvicinò, inginocchiandosi accanto a lui.

Devi lasciar andare. Respira, lascia andare tutto quello che ti tiene qui. E poi... Alzati.

João chiuse gli occhi.

Pensò alla sua vita, ai sogni non realizzati, ai rimpianti che lo tormentavano.

Pensò a quanto fosse difficile accettare che tutto cadesse, si frantumasse.

Pian piano, iniziò a sentire un sollievo, come se un peso enorme venisse sollevato dalle sue spalle. Quando riaprì gli occhi, il cimitero era scomparso. Si trovava nel suo letto, tra lenzuola pulite, finalmente in pace. Il sole faceva capolino dalla persiana socchiusa, annunciando una bella giornata.

Aprì la finestra e si sporse, incontrando lo sguardo della signora Maria, che gli sorrise gentilmente.


...


Quello stesso mattino, il guardiano del cimitero trovò il cadavere di un uomo addormentato e morto di freddo nel cimitero la notte precedente.

Stranamente, i rilievi confermarono che aveva esalato l’ultimo respiro sulla tomba del suo bisnonno, suo omonimo, morto anni prima in quello stesso giorno.


- Silvia -

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