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Immagine del redattoreSara

La maledizione delle emozioni

Aggiornamento: 18 ott 2023



Ottobre sulle foglie e nel vento

come una musica mai ascoltata

Ottobre attraverso i vetri d'una finestra

e sulle piazze

Ottobre nel profumo dei suoi capelli

e nei riflessi del mare

Ottobre splendente su Napoli tutta

di brillanti colori del silenzio della rinascita



Era sveglia da quando il ragazzo del terzo piano aveva fatto un incubo, terminato con il naufragio della nave da crociera sulla quale si trovava. Si era svegliato un secondo prima di affogare e Amanda si era svegliata con lui, strappata dal suo riposo, per la palpabile angoscia lasciata dall’incubo.

Lui si era riaddormentato quasi subito. Lei, dopo essersi rigirata nel letto per più di un’ora, aveva deciso di alzarsi e mettersi a studiare.

Quella notte sembrava che tutto il palazzo avesse un inconscio molto creativo o con molta necessità di scaricare: stavano sognando tutti, ma nessuno cose belle.


Accese la luce della cucina e mise a bollire l’acqua.

Poi, mentre il cucchiaino girava la tisana per lei, si era vestita, pronta per uscire, più tardi, a correre.

Aveva tirato fuori dallo scaffale, portato sulla scrivania e aperto al segno i libri, mentre si lavava i denti in bagno. Meki, il suo gatto, ancora non si era abituato a vedere oggetti muoversi per aria, in assenza, nella stanza, della sua padrona; li rincorreva, cercando di acchiapparli, e rimaneva sempre molto deluso quando, posati sui piani delle superfici, perdevano la vita che gli davano l’impressione di avere, mentre volteggiavano da un luogo ad un altro.

L’espressione di disappunto di Meki faceva sempre scoppiare Amanda in una risata. E il felino si guadagnava una grattatina tra le orecchie e un bacio consolatorio.


Amanda si immerse nella lettura. Divorava i vecchi manoscritti. In una settimana aveva studiato tutto l’albero genealogico di Lucia, la sua antenata, e di Alfredo, il suo consorte. Da loro aveva avuto inizio tutto. A scendere, per arrivare a lei, in successione, le donne della famiglia Rosa erano state tutte unite dalla stessa sorte.


Quando dovette interrompere la lettura, per il vociare nella sua testa, si rese conto che l’alba era ormai passata da un pezzo. Probabilmente la musica classica di sottofondo era riuscita a tenere fuori dalla sua mente le emozioni del palazzo più a lungo del solito, complice il risveglio tardivo della domenica.


Alzò gli occhi e guardò fuori dalla piccola finestra che affacciava su Piazza del Plebiscito: non si era mai visto un Ottobre così pieno di vita e colori. Le temperature non accennavano a voler cedere il passo all’inverno. Napoli era più bella che mai: le strade gremite di turisti riuniti intorno ai locali, un gran vociare e brulichio in ogni angolo. Sembrava in festa. E ad Amanda arrivava già una grande ondata incontenibile di emozioni.

La domenica era sempre un giorno molto difficile da gestire, soprattutto con le belle giornate.

Così si infilò le scarpe da running e scese per le vie della città, risoluta ad abbandonarle il prima possibile.


Appena messo piede fuori di casa, accolse quella sensazione ormai molto nota, chiedendosi, per la milionesima volta, perché nessuno avesse ancora spezzato quella maledizione. Perché nessuna delle sue predecessore avesse saputo rimediare. E, mentre si ripeteva queste domande, nella speranza che la concentrazione non facesse passare tutto quello che le stava arrivando addosso, si faceva amara burla di tutti quelli che osavano definirsi empatici: “Se solo sapessero cosa vuol dire non solo sentire, ma essere davvero partecipi di tutto quello che provano gli altri…”, pensava con un sorriso storto e il cuore greve, mentre le ondate di emozioni le si schiantavano addosso come le onde del mare grosso in tempesta.

Non amava fare quei pensieri, la intristivano. Eppure erano gli unici a risvegliare in lei una tale rabbia da permetterle di tenere fuori le emozioni altrui, almeno in parte.

Mentre correva, ripercorreva ogni ricerca che aveva fatto, ogni parola letta sui libri e sentita in famiglia; cercava nei ricordi qualche dettaglio, anche solo un piccolo particolare che le fosse sfuggito e al quale potesse, magari, aggrapparsi per trovare un incantesimo, un rito, qualunque cosa fosse in grado di strapparla via da quella condanna.

Avrebbe voluto urlare e, invece di urlare, correva. Via, quanto più possibile, dalla fiumana di gente, prima di essere sopraffatta. Si punì, persino, dandosi dell’idiota più volte, per non essersi alzata dalla scrivania prima, incappando, inevitabilmente, nella folla.

Mentre faceva di tutto per divincolarsi e uscire dalle vie centrali, sbatté vigorosamente contro un uomo.

L’urto fu violento: non lo aveva proprio visto. Amanda si ritrovò con il sedere a terra e un po’ stordita. Improvvisamente non sentiva più le emozioni dei passanti. C’era un irreale silenzio nella sua testa, mentre il suo cuore era parecchio agitato, ma non per il solito andirivieni di turbamenti altrui. Il turbamento che accusava era il suo, con meraviglia e incredulità. L’uomo le tese la mano: “Scusami. Mi sono catapultato nella via e non ti ho proprio vista arrivare. Sarà perché correvi velocissima…”, abbozzando un sorriso.

Giusto il tempo di accogliere l’offerta di aiuto e appoggiare il palmo della sua mano nella mano di lui che tutte le emozioni di quell’uomo divennero le sue e lui era decisamente pieno di emozioni. Tanto che ricadde indietro, trovandosi di nuovo con il sedere a terra e le gambe tremanti.

“Ehi, ti senti bene? Posso offrirti la colazione per farmi perdonare? Sembri un po’ provata…” “No, per carità!” e, drizzandosi in piedi, con il cuore in gola, si rimise a correre, più veloce di prima. Lasciando quell’uomo e i passanti, che si erano fermati, un po’ attoniti e sconcertati. Quasi tutti fecero spallucce e tornarono alla loro passeggiata.

Quasi tutti, ma non lui: finalmente l’aveva trovata. Non aveva dubbi: era lei. I capelli mossi che le ricadevano sulle spalle, gli occhi verdi, quelle mani delicate, le lentiggini sulle guance, il profumo dolce delle peonie… sì: era lei, proprio come se l’era sempre immaginata. Somigliava davvero molto a Lucia. Di certo non poteva lasciarsela sfuggire così.

E, anche se in un attimo era scomparsa, inghiottita dalla folla, seguì la sua direzione, mettendosi a correre anche lui, ascoltando l’istinto: girava per le vie di Napoli come un segugio, sulle sue tracce.


Amanda era mossa da un’adrenalina senza eguali: non aveva mai corso così veloce in tutta la sua esistenza. In un attimo era sul lungomare e, subito dopo, a cercare rifugio nello stabilimento di una sua cara amica: le riservava sempre una cabina lì e non ebbe esitazioni nel chiudervisi dentro. Certo questo non le concedeva un po’ di silenzio dal mondo, che aveva ricominciato ad invaderla, ma almeno le offriva riparo da quello che le era appena accaduto.


Rannicchiata dentro la cabina, Amanda cercò di fare un po’ di ordine tra i suoi pensieri.

Quando aveva toccato la mano di quell’uomo aveva provato un’emozione così forte! Come se gli organi interni le stessero esplodendo. Non riusciva quasi ad ammetterlo a se stessa, ma, da quando lo aveva toccato, aveva sentito, e lo sentiva ancora in quel momento, vivido il desiderio di stargli accanto. E tutto questo non aveva alcun senso. Soprattutto perché aveva evitato da sempre di potersi anche solo infatuare di qualcuno, visto che, da un’unione, era nata una maledizione.

Ma, ad un tratto, sentì la paura attraversarle il corpo: quell’uomo la stava chiaramente cercando, e la stava cercando per ucciderla. Lo aveva sentito appena lo aveva urtato.

E lui? Lui aveva provato la stessa cosa, ne era sicura.

Eppure era venuto lì, a Napoli, con l’intento di eliminarla.

Eppure, quando i loro sguardi si erano incrociati...

Eppure non lo aveva mai visto prima!

Eppure era tutto così vivido.

Eppure… lo odiava e lui odiava lei.

Eppure…

Eppure, eppure, eppure.

Non sapeva più cosa pensare, così presa da emozioni fortissime e contrastanti. Com’era possibile? Non lo era! La sua testa era completamente in balia di un loop dal quale non riusciva ad uscire per mancanza di risposte.

Intanto il brusio delle emozioni delle persone non l’abbandonava nemmeno un secondo. Era davvero troppo per lei. Avrebbe voluto tuffarsi in mare: sapeva che stare immersa nell'acqua, al largo, si rivelava sempre un’ottima soluzione, ma temeva di essere vista da lui. Sentiva che la stava ancora cercando e, probabilmente, era anche vicino.


“Amanda!”. Era lui. Aveva bussato alla porta della sua cabina e le stava parlando.

Lei era congelata dalla paura e, al contempo, non poteva resistere alla tentazione di aprire la porta per rivederlo. Quegli occhi neri, i lineamenti del suo viso, il suo profumo, il calore delle sue mani…

“Amanda, dai, apri la porta.”

Zitta. Immobile. Non sapeva cosa fare.

“Dai, esci. Dobbiamo parlare.”

“Parlare? Io non so nemmeno chi tu sia!”.

“Io credo che tu sappia chi sono…”

Amanda ebbe un’epifania: certo, era così scontato. Come aveva fatto a non pensarci prima?

“Marcus?”

“Sono io.”

Voleva e non voleva uscire. Sapeva che avrebbe potuto teletrasportarsi altrove, ma, sebbene negli anni avesse fatto pratica, le riusciva solo in condizioni di estrema calma e da una stanza all’altra della sua casa. Non era mai riuscita a spostarsi per tratti più lunghi. Però, se fosse arrivata almeno fuori dalla cabina senza passare dalla porta, avrebbe potuto ricominciare a correre. Troppo tardi: aveva pensato alla stessa cosa anche Marcus, che le era comparso accanto. Amanda sobbalzò e, probabilmente per lo spavento, si teletrasportò fuori dalla cabina.

Iniziò a correre, senza una meta precisa. E Marcus dietro. Ogni tanto si teletrasportavano, spostandosi di qualche metro, sfiorandosi, e poi perdendosi di nuovo.

Amanda fu grata nel notare che, anche per lui, quella pratica fosse difficoltosa. La magia si era decisamente affievolita dai tempi di Lucia e Armando.

Negli attimi in cui lui la raggiungeva, avevano brevi scambi. Il primo fu colmo di odio e rancore: “Tu vuoi uccidermi.”

“Certo che lo voglio, sei la mia rovina.”

“Ma perché?”

“Come perché? La tua famiglia ci ha maledetti!”

“Cosa stai dicendo? La tua famiglia ci ha maledette!”

“No, non è vero. La tua antenata, Lucia, ha lanciato un incantesimo contro Armando.”

E poi via, di nuovo a rincorrersi. Stavano goffamente tornando verso il centro di Napoli, cosa che faceva pulsare la testa di Amanda. Tuttavia, stare in mezzo alla gente, le sembrava l’unico modo per mettersi un po’ al riparo dalle cattive intenzioni di Marcus.

Ai Giardini del Molosiglio si trovarono faccia a faccia. Ebbero un moto di compassione, l’uno nei confronti dell’altro, si presero le mani e venne loro naturale parlarsi quasi in modo consolatorio. Amanda appoggiò una mano sulla sua guancia: “La mia antenata, Lucia, non ha lanciato un incantesimo contro Armando. Lei lo amava follemente.”

“No, era Armando che la amava follemente, te lo assicuro.”

“Stai mentendo. Noi siamo state condannate a sentire tutte le emozioni di chi ci circonda, per chissà quale capriccio di Armando.”

Gli animi si erano di nuovo scaldati e la rabbia di Marcus saliva, come quella di Amanda.

“No, non è vero. Noi siamo stati costretti a questa tortura!”

Sbuffarono, ringhiarono, e ricominciarono ad inseguirsi.

Erano di nuovo in Piazza del Plebiscito.

Tra i fallimentari teletrasporti e le corse, pur avendo fatto pochi metri, iniziavano ad essere stanchi. La magia era loro di poco supporto.

Risalivano Napoli, verso i Quartieri Spagnoli.

Questa volta fu Amanda a braccare Marcus: “Ora basta. Credi davvero che eliminarmi risolverà il problema? Nessuno dei nostri antenati ha sciolto la maledizione, e sono tutti morti. Quindi mi pare che la scomparsa di uno di noi non sia la soluzione.”

Marcus la guardava, combattuto tra la rabbia e l’attrazione che provava per lei.

Amanda incalzò: “Se si amavano, come entrambi sosteniamo, perché sono arrivati a lanciare una maledizione su tutte e due le nostre famiglie? Lucia e Armando, dai racconti che si tramandano nella mia di famiglia, avevano fatto grandi cose con la loro magia. Cos’è successo? Tu lo sai?”

Ed eccoli lì, davanti ad una inesplorata verità. Il confronto aveva smontato una convinzione che entrambi si portavano dietro da molto, forse troppo tempo: avevano alimentato un rancore enorme, credendo di non vivere la stessa sorte e, invece, la condividevano eccome.

“Forse…”, abbozzò Marcus, “dovremmo cercare di capire qualcosa in più. Se uniamo le forze e mettiamo insieme quello che sappiamo…”

“Sì, mi sembra una buona idea. Vediamo… So che Lucia e Armando erano molto invidiati perché avevano un grande potere…”

“Sì, grande potere quasi completamente scomparso, Amanda. E’ già tanto se riesco a spostare alcuni oggetti!”

“Sì, lo so. Anche io.”

“Però so anche che erano molto invidiati per la loro storia d’amore.”

“Sì, è vero, ma la famiglia Rosa e Martina sono sempre state unite da questo. Lo sapevano tutti nella comunità magica.”

Marcus sbuffò: “Già… la comunità magica per la quale Armando aveva fatto così tanto… possibile che qualcuno li odiasse a tal punto? Pensi che la maledizione arrivi dall’esterno? Eppure si dice fossero davvero molto generosi e attenti agli altri maghi.”

“Magari sì… o magari… arriva dagli umani.”

Marcus era titubante: “Ma gli umani non hanno questi poteri”

“Però Lucia sosteneva si potesse insegnare loro un po’ di magia, e lo stava facendo.”

“Ma Armando era contrario!”

“Come contrario?”

“Certo, nella mia famiglia non si è mai accettato che gli umani potessero prendere parte alle pratiche magiche!”

“Ma nemmeno per piccole cose? So che Lucia voleva aiutarli con piccoli problemini, sai quelli tipici degli umani: le malattie, ad esempio.”

Marcus la guardava, perplesso: “Assolutamente, nemmeno per le piccole cose. Armando, ne sono certo, era contrario.”

“E come l’hanno risolta?”

“Non l’hanno risolta, che io sappia. La comunità magica racconta che non passò molto tempo da questo diverbio alla loro morte.”


Amanda si lasciò scivolare su una panchina, gambe a x, spalle curve, capelli in disordine. Era sconsolata. Poi, all’improvviso: “E se…”

“Cosa?”

“E se fosse stato proprio questo il problema?”

“Cioè?”

“Pensaci un attimo. Ripercorriamo insieme le cose, vuoi?”

“Mmmh mmmh. Vai.”

“Rosa e Martina: due famiglie molto legate. Ok?”

“Ok. Sì.”

E, intanto, la mano di Marcus prese quella di Amanda.

“Tutte le loro unioni sono state belle, durature, floride.”

“Sì.”

“Poi arriva la volta di Lucia e Armando.”

“Maledetti”, sibilò.

“Marcus!”

“Sì, ok, vai avanti”

“I fiori all’occhiello delle famiglie: bellissimi, giovani, talentuosi. Forse i più talentuosi.”

“Toglierei il forse, secondo tutti lo erano anche più di Rosalinda e Robert, i padri fondatori.”

“Perfetto. I più talentuosi. E non solo: attivissimi, pronti a cambiare quello che non funzionava, generosi, disponibili, sempre di buon umore. Si dice che non li abbiano mai visti litigare. E, non ce lo dimentichiamo, innamoratissimi.

Ho preso una sfilza di manuali, dalla biblioteca delle streghe: in ognuno di questi ci sono loro in ritratti di felicità. Ma non quella felicità da emozione appagamento temporaneo, oh insomma: dalle illustrazioni animate si vede proprio che sono innamorati.”

“Sì, so cosa intendi: le ho viste anche io. E poi anche nella mia famiglia si racconta questo. Pensa che alcune storie che si cantano davanti al camino, a Natale, sono su di loro. Sono stati cambiati i nomi… per ovvi motivi…”.

Sorrisero entrambi.

“Beh ma insomma: arriva al dunque.”

“Il dunque è: non avevano mai avuto diverbi. Prima di… averlo per gli umani.”

“Dunque sono gli umani il problema?”

Amanda aveva gli occhi che luccicavano, pieni di lacrime: “No, credo siano stati loro stessi il problema.”

“Ehi, ehi, non piangere. Spiegami, non ti seguo.”

“Io credo che… si siano consumati, nella loro lontananza di punti di vista. Lucia voleva una cosa, Armando era contrario. Il loro unico diverbio. Non hanno capito i sentimenti l’uno dell’altro. E… tutto ciò che è acrimonioso nuoce ai maghi buoni, te lo ricordi? L’ho letto nei manuali di magia che ho rispolverato e studiato da capo.”

“Sì, è vero. E dici che… per questo si sono maledetti a vicenda?”. Marcus non le diede il tempo di rispondere: “Non avendo risolto il problema in vita, consumati dal loro risentimento, loro si sono distrutti e hanno passato la maledizione alle generazioni successive.”

“Esatto. E cosa poteva esserci di più terribile, ma anche di più istruttivo, del sentire tutti i sentimenti degli altri?”

“Quelli che non sono riusciti a sentire l’uno dell’altro…”

“Esatto.”

“Amanda, sei un genio! Credo tu abbia proprio ragione.”

“E come lo sai? La mia è solo una teoria.”

“La tua teoria è giusta. E sai perché lo so? Perché abbiamo messo da parte gli antichi rancori, quelli tramandati dalle nostre famiglie, per cercare una soluzione, insieme.”

“E allora?”

“E allora… Signorina Rosa, ecco alcune prove: non riusciamo a smettere di tenerci per mano da quando siamo seduti su questa panchina e…”

“E…?”

“E… non ho più la testa piena delle emozioni della gente. Ma ho il cuore pieno delle mie. Inoltre…”, Marcus le prese il mento, dolcemente, per portarla a guardare alla loro destra, “ci siamo teletrasportati.”.

Amanda sorrise, vedendo il mare.

Non ci aveva fatto caso, ma Marcus aveva ragione: nella sua testa c’era di nuovo il silenzio, come quando gli aveva sbattuto contro e, effettivamente, nessuno dei due riusciva a lasciarsi le mani.

“Questo vuol dire che…”

“La maledizione è spezzata e la magia è tornata. E lo siamo anche noi, nel destino delle nostre famiglie.”

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