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Il Signorotto del Borgo

Aggiornamento: 7 apr 2023



“Amor con amor si paga, chi con amor non paga, degno di amar non è." - Petrarca.


Vivere un’eterna estate, lui che aveva provato un lungo inverno. Questa era la promessa che si era fatto, tempo addietro. E l’aveva mantenuta: aveva investito quasi tutta la magia di cui disponeva nel dipingere il suo borgo con fiori colorati e profumati, animali pacifici e dal manto allegro, ruscelletti e fazzoletti di verde per il ristoro, molti alberi dalle abbondanti fronde, e così via.


Era noto a tutti come il Signorotto.

L’appellativo gli fu cucito addosso dagli abitanti del suo borgo, i quali amavano descriverlo come un mago di bell’aspetto, dai bei modi, facoltoso. Tuttavia non abbastanza di tutto ciò da essere considerato un reggente degno della loro totale stima.

Su una cosa tutti erano d’accordo: che fosse un gran seduttore. Dote, chiaramente, non vista di buon occhio dato che risultava essere, in soldoni, l’unica attività che svolgeva attivamente nel regno.

Unico erede di una stirpe antica e nobile, si godeva lo stato di grazia della sua personale estate, anche in questo: non vi era donna, fata, mezza fata o musa che potesse resistergli se sussurrava loro all’orecchio.

Quando giungeva in paese, dopo il tramonto, per bere un boccale alla locanda, tutti sapevano che la sua serata non sarebbe terminata in solitaria. Esattamente come il Signorotto sapeva che, l’indomani, sarebbe puntualmente arrivato il suo mezz’elfo domestico con il vassoio -e non solo- della colazione.


“Mio Signore…”

“Signorotto, prego.”, immerso in una grande vasca da bagno, dalla quale le ali della fata escono e sfiorano il pavimento. Lui gioca con un riccio dei suoi capelli, mentre lei gli insapona il petto.

“Mi rifiuto di chiamarvi Signorotto.”

“Ma suvvia, Ludmund, è così buffo! Adoro che mi chiamino così! Mi spoglia totalmente da ogni affanno!”. La fata sorride e gli sussurra: “E tu adori essere spogliato…”. Lui ricambia il sorriso e si gira il riccio tra le dita, poi la bacia.

“Mio Signore, l’essere spogliato di ogni affanno è cosa positiva, se poi si usasse tale stato di lucidità per vestirsi di responsabilità…”

“Cosa insinui, Ludmund? Che non mi prendo cura del mio borgo?”, ribatte con voce noncurante, mentre si copre con le ali della fata, per non far vedere a Ludmund dove sta per poggiare le sue labbra.

“No, mio Signore. Non insinuo nulla. Affermo, viceversa, che vi è un enorme spreco di potenziale qui.”

Lui non trattiene una risata: “Ah ah ah! Potenziale… E di quale potenziale si starebbe facendo spreco? Tu sei d’accordo, cara?”. Lei fa cenno di no con il capo e ride.

“Del vostro, mio Signore.”

“Ludmund, ti prego, ora basta. Lascia il vassoio sul tavolo ed esci.”. Gli fa un cenno, nell’aria, con la mano.


Tutti e due sanno che la scena si ripeterà, il giorno dopo. Il mezz’elfo scuote la testa, accenna un inchino e attende la mattina seguente.

Il Signorotto ha tra le braccia una Musa, dalla chioma rossa come il tramonto d’estate e le lentiggini su tutto il corpo. Lui si è divertito ad unirle, con la crema ai lamponi, per vedere se ne potesse uscire un qualche disegno e, in effetti, hanno scoperto, ridendo, un paio di costellazioni.


“Mio Signore, non sarebbe tempo di prendere moglie?”

“Oh! Una domanda sorprendentemente nuova! No, caro Ludmund. Il matrimonio è per i coraggiosi.”

“Non ho mai trovato coraggio nel matrimonio, mio Signore.”

“Perchè non hai mai esaminato il grande impegno che richiede, Ludmund.”. Guarda la musa che siede sulla sua grande poltrona e le accarezza una guancia: “La notte ci ha dato tutto quello che poteva. Vai, mia cara.”.


Ludmund incalza, con un po’ di tristezza: “Sapete bene che il problema non è certo l’impegno. Il problema ha un altro nome: Rossana.”.

Un fiocco di neve si poggia sul vetro della finestra, insolita dimostrazione metereologica per un regno in un cui tutti vivono un’eterna estate.

“Rossana?”, la musa solleva capo e occhi e non riesce a trattenere lo stupore dell’aver pronunciato quel nome: “La musa imprigionata a Valle?”.

“No, mia cara, non è imprigionata. Ha scelto una vita con un amore discutibile.”.

“No, mio signore. Rossana è come una sorella, sapete bene che il nostro popolo condivide le emozioni. Non ha scelto un altro amore, è stata rapita e imprigionata. A voi hanno fatto credere così, affinchè non andaste a cercarla. E ora lei…”.

Il Signorotto ha la fronte bagnata di sudore. Sgomento si avvicina alla musa e le stringe le braccia: “Ora lei... cosa?”

Le si riempiono gli occhi di lacrime e sussurra: “E’ morta, mio Signore.”

Un vento gelido spalanca le finestre su un regno coperto di ghiaccio e neve. Gli alberi sono, improvvisamente, privi di foglie, degli animali nemmeno l’ombra, i ruscelli immobili.

“Morta? Non può essere morta.”. Il Signorotto scuote la musa, in cerca di risposte.

“Morta, mio Signore. Le muse, intrappolate, perdono la loro facoltà di ispirare e la loro luce si spegne. Certo poi…”

“Cosa? Parla, musa!”

“Aver saputo della vostra estate…”

“La mia estate?”

“E’ stato un duro colpo, per lei, vedere come l’abbiate dimenticata e come vi divertiste nei piaceri del vostro regno.”

Il Signorotto crolla a terra. Ludmund si avvicina, per sorreggerlo ed egli gli si aggrappa in un abbraccio di disperazione. Singhiozza e geme, in un lamento profondo, mentre ha come l’impressione che il petto gli si stia lacerando: “Ludmund! E’ morta! Per colpa mia!”

“No, mio signore, non per colpa vostra. Per colpa di chi l’ha rapita.”

“Ma io… la credevo innamorata di quel vile! Per questo…”

“Per questo ha cercato di distrarsi con l’estate e con tutto il resto.”

“Avrei dovuto capirlo. Avrei dovuto fare qualcosa.”. Ha il fiato corto, trema.

“Non potevate, mio signore. La magia della Valle è potente, nessuno poteva saperlo. E conoscete bene il motivo di tale rapimento.”

“Mia sorella…”

“Lei lo ha rifiutato e lui, credendo che il motivo del rifiuto fosse per il vostro antico astio, ha preso la vostra promessa sposa.”

“Maledetto. Che sia maledetto.” Raccoglie le forze e si alza in piedi. Prende le mani della musa: “Chiama le tue sorelle. Ho bisogno di voi per rimettere in forza la mia magia. Vendicheremo Rossana. Ne potete stare certe.”.

“Mio Signore, sapete che è un suicidio. Il Signore della Valle è molto potente.”

“Non quanto un mago che può contare sulle Muse. Non quanto un uomo innamorato. E, se anche trovassi la morte, andrebbe bene lo stesso, Ludmund. Niente di questo ha più avuto senso da quando lei non c’è più, e tu lo sai bene.”


Nevica, copiosamente.

Il rumore delle fucine, messe in moto per forgiare una nuova spada e rimettere in sesto l’armatura, si è spento e da giorni il regno giace in un ovattato silenzio.


Tutti attendono il ritorno di Lord Ryec.

Nessuno più l’ha chiamato “Signorotto” da quando lo hanno visto cavalcare il grande drago, indossando la sua armatura blu, alla volta della Valle.


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