top of page
Cerca
Immagine del redattoreSara

Felicità in bottiglia

Aggiornamento: 12 lug 2023


Il profumo dell’erba appena tagliata e il sole che scendeva sulle guglie della Certosa: un connubio che, fin dai primi ricordi che conservava di quel luogo, le donava un senso di pace e libertà.

Stava sempre con il naso all’insù, come un piccolo segugio, abituata a percepire il mondo attraverso gli odori. Retaggio e insegnamento dello zio, monaco della Certosa, addetto alla cernita delle erbe e delle spezie per creare unguenti e rimedi naturali per molti affanni o malanni.

Cresciuta nella pace del chiostro interno, anche mentre stava leggendo un libro, poteva riconoscere il tipo di preparazione dal modo in cui lo zio macinava, con il mortaio o il pestello, ponendo più o meno forza nei movimenti. Era una strana musica di fruscii e picchiettii quella che veniva prodotta.


Era quasi inevitabile che si appassionasse al punto da voler studiare erboristeria.

Elisa andava a studiare lì ogni volta che poteva: era incredibile quanto apprendesse più in fretta, immersa in quella sinfonia fatta di natura in trasformazione.

Lo zio era orgogliosissimo di lei. L'aveva trattata come una figlia e l’aveva vista crescere spensierata, nella protezione della Certosa, dei monaci e della sua famiglia. Lo rendeva sereno aver visto che la sua nipotina aveva affrontato la vita con il sorriso e con tanto entusiasmo. Ancora prima di iniziare l’università, avendolo ricoperto di domande, conosceva già quasi tutti i nomi e proprietà delle piante e come lavorarle per ottenere i composti. Questo rese il suo percorso di studi celere e brillante e, nel giro di poco tempo, aprì la sua erboristeria. Aiutare le persone la rendeva felice ed era particolarmente brava: i suoi clienti la adoravano. Bastava quasi che li guardasse in faccia dopo che avevano spinto la porta d’ingresso per sapere di quale rimedio avessero bisogno.


Un anno, però, l’impresa le risultò particolarmente difficile: sembrava che vi fosse un’epidemia generale di malumore il che, ovviamente, si ripercuoteva anche sulla salute delle persone. Mai come quell’inverno, ad esempio, aveva assistito a tante influenze, polmoniti, casi di insonnia, gastriti e via dicendo. E la situazione andò peggiorando. L’anno successivo si presentarono molti più clienti alla sua porta.

Chi ascoltava i suoi racconti, con superficialità, scherzava, dicendo che avrebbe dovuto essere contenta: più malati, più volume d’affari, più incassi.

Eppure lei non si dava pace: aveva intrapreso la strada dell’erboristeria per aiutare le persone, non la rendeva certo felice saperli malati senza poterli aiutare a stare meglio. Nel corso del tempo iniziò ad empatizzare talmente tanto con loro che fu come se i loro problemi fossero i suoi. Affrontava ogni nuovo acciacco riportato come una sfida personale. Aveva solo più un obiettivo: far guarire tutti e in fretta.

Si buttò in una ricerca senza sosta: studiò le piante esistenti negli altri paesi e partì per viaggi verso i luoghi in cui crescevano, per poterle raccogliere personalmente e testarne le proprietà; bussò alle porte dei maggiori esponenti ancora in vita della scienza erboristica e passò con loro tutto il tempo che riusciva a ricavare, cercando di non sottrarne troppo alla sua clientela e al suo negozio; ogni volta che poteva aveva la valigia pronta, alla ricerca di qualcosa di nuovo, con la speranza che potesse essere illuminante e, magari, risolutivo.

Ma tutti quei tentativi si rivelavarono quasi sempre di poca evoluzione. Tornava, da ogni trasferta, con un entusiasmo che, alla fine, veniva disatteso. All’inizio questo la spronò ancora di più a cercare e a tentare ancora, ma, tentativo dopo tentativo, iniziò ad incupirsi.

Ma ancora non si rassegnava, sembrava come ossessionata. In erboristeria, ormai, passava pochissimo tempo. Era quasi sempre immersa in internet, a fare ricerche, ad esplorare zone sperdute dei continenti. E, a poco a poco, notando la sua assenza, la clientela diminuì. Questo la buttò ancora maggiormente in un loop di tristezza.

Suo marito, Gerardo, la vide spegnersi, giorno dopo giorno, mentre lottava con quelli che lei considerava fallimenti personali, senza riuscire a capire dove fosse l’errore dal quale non riusciva ad uscire. Non dormiva più, dimagriva costantemente, scordandosi di mangiare, troppo presa nel dover fare altro. Era sempre nervosa, non si concedeva un minuto di riposo.


Un giorno, stanco di non vedere più lo splendido sorriso di cui si era innamorato, Gerardo decise di portarla a trascorrere una giornata alla Certosa. Da troppo tempo mancava da quel luogo, che per lei era sempre stata casa, relax, fonte di ispirazione.


Seduta tra le colonne che affacciano sul cortile interno, si sorprese nell’osservare il roseto in fiore: era una meraviglia, le era mancato tantissimo.

“Secondo te com’è possibile che tanta bellezza e armonia, di colori e profumi, non sia sufficiente a proteggere tutta l’umanità dall’infelicità?”, chiese al marito. “Guarda che sole stupendo che c’è oggi. E’ rigenerante.”

Gerardo la fissava, non sapendo bene cosa aspettarsi: “Dimmi, a questo stai lavorando? A come mettere il sole nei medicinali?”

“...sì. No. Più o meno. Ci andrebbe… una magia.”

“Tecnicamente, però, se ci pensi… il sole è dentro ai medicinali, in quanto luce. Esattamente come l’aria. Mi sembra che tu stia cercando di risolvere problemi che in tanti anni scienziati di ogni tipo non hanno risolto. E vorresti farlo quasi schioccando le dita. Ci va tempo, studio, dedizione. Tutte cose che stai dedicando, ma ci va anche pazienza, che tu non hai in questo momento. Stai perdendo la tramontana.E sai a chi accade questo? A chi è troppo dentro ai problemi. Vieni con me.”

Stese una coperta sul prato e la invitò a sdraiarsi. Poi la prese tra le braccia e iniziò ad accarezzarle i capelli: “Rilassati. Stacca la testa dai pensieri e dimmi cosa provi.”

“Qui? Adesso?”

“Sì.”

“Qui adesso provo di nuovo un senso di serenità perduto. Era da troppo tempo che non passavamo una giornata così, vero? E poi… mi ero scordata di quanta serenità possa infondere la Certosa. Qui ci sono i miei ricordi più belli e più felici. Sai cosa penso?”

“Dimmi.”

“Che bisognerebbe poter imbottigliare la felicità!”

“Ok. Facciamolo.”

Gerardo si alzò di scatto e andò al laboratorio dello zio. Prese in prestito 10 botticini di vetro, un pezzo di carta, una biro e un paio di forbici. Torno sull’erba con lei, iniziò a tagliare la carta in tanti piccoli pezzi e, quando ebbe terminato, le chiese: “Un ricordo felice?”

Lei ci pensò un attimo: “Quando ti ho conosciuto. In quel seminario noiosissimo, ti ricordi?”

“Eccome se me lo ricordo. Ok.” Scrisse, leggendo ad alta voce: “La felicità è aver conosciuto mio marito”, arrotolò il pezzettino di carta, lo mise nel botticino e lo chiuse: “Ecco, abbiamo iniziato ad imbottigliare la felicità. Andiamo avanti. Dinne un altro.”

Elisa sorrise. Il gioco le piaceva. “L’espressione di orgoglio dello zio quando gli ho detto che avrei fatto erboristeria”

“Molto bene”. Scrisse di nuovo e imbottigliò. “Poi?”

Il gioco andò avanti, fino alla nona bottiglietta. Arrivando alla decima: “Adesso dimmi un momento felice di oggi.”

“L’imbottigliamento della felicità”

“Molto bene”, e, dopo averle dato un bacio, scrisse, sempre leggendo ad alta voce: “La felicità è imbottigliare la felicità”.

Ripose l’ultimo biglietto nel vetro e le disse: “Questi li portiamo a casa e li mettiamo su quel bel mobile che non hai mai finito di dipingere. Promettimi che lo terminerai e che dipingerai anche i botticini. Da oggi, ogni giorno, cercheremo di scrivere un biglietto della felicità. Quando non ci riusciremo andremo a stappare qualche flaconcino e respireremo un po’ di felicità imbottigliata. Ti va?”

“Mi va moltissimo! Mi sembra una stupenda idea, amore.”

C’era un nuovo obiettivo nella vita di Elisa: ritrovare piccoli momenti di felicità. Con questo nuovo pensiero, continuò a studiare e a cercare nuovi composti, ma con una leggerezza ritrovata. Tornò a passare tempo nella sua erboristeria, con la serenità sul volto e non passò molto tempo prima che i suoi clienti tornassero ad essere affezionati.


Il gioco della felicità, intanto, continuava: ogni giorno, lei e Gerardo, non mancavano di cercare un momento che meritasse di essere scritto ed imbottigliato. La piccola collezione di botticine sul mobile cresceva e, una sera, le venne voglia di continuare a dipingere il mobile sul quale erano riposte.

Si ispirò al roseto della certosa: dipinse, ad olio, boccioli e petali colorati, con pennellate talmente belle e corpose che, quando, ebbe terminato, non potè che constatare che sembravano proprio fiori veri. Veniva voglia di toccarli. Guardando le bottigliette piene di foglietti di carta, che aveva rimesso al loro posto sul mobile, il suo ultimo pensiero fu: “Non vedo l’ora di mostrarlo a Gerardo! Sicuramente questo diventerà un nuovo botticino della felicità!”. Poi crollò in un sonno profondo, accanto al mobile, soddisfatta, con un po’ di pittura tra le dita e con il cuore che esplodeva di felicità.

Il mattino seguente Gerardo la svegliò, complimentandosi per l’impresa meravigliosa portata a termine. E, nel contemplare il mobile e la pittura, improvvisamente, Gerardo esclamò: “Elisa! Ma cosa hai fatto ai botticini?”

“Io non ho fatto nulla, li ho solo rimessi al loro posto. Perché?”

“Guarda!”

Elisa portò lo sguardo alle bottigliette: il contenuto era cambiato, completamente. Non c’era più traccia dei bigliettini! Erano pieni di liquido. In alcuni era ambrato, in altri azzurrognolo, in altri verdino.

“Gerardo… ieri sera, prima che mi addormentassi, erano ancora pieni dei nostri bigliettini, te lo assicuro!”

“Ma cosa sarà successo?”

“Non ne ho idea! Apriamone uno, annusiamolo.”

Tolto il tappo ed avvicinato il naso, con molto timore, Elisa si rese conto che odorava di buono. Le ricordava il profumo di alcuni decotti, a base di rosa.

“Senti… io lo assaggio!”

“Dai, non scherzare! Li hai fatti tu e mi stai prendendo in giro?”

“Ti assicuro di no.”

“Dai…”

“Te lo potrei giurare su quanto ho di più caro al mondo.”

“E allora tu non assaggi un bel niente.”

“Dai, mi bagno le labbra. Che potrà mai succedere?”

“No, Elisa, categoricamente no. Può succedere di tutto.”

Ma non aveva ancora terminato la frase che lei aveva bevuto un piccolo sorso del contenuto.

“Sei impazzita?”

“Mmm… guarda che è buono. E’ dolce. Sa di… Aspetta, aspetta”, e ne bevve un altro sorso. “Giurerei… beh rosa, chiodi di garofano, passiflora e… mmmh… no, niente: c’è qualcos’altro ma non capisco proprio cosa. Vuoi provare?”

“Non ci penso proprio”

“Magari lo porto allo zio.”

Si vestì in fretta e furia ed uscì di casa, con 1 botticino per colore.

Lo zio assaggiò prima quello ambrato, che aveva assaggiato anche lei. E il responso fu lo stesso: sugli ingredienti concordavano, come anche sul fatto che vi fosse altro di indecifrabile. Poi assaggiò quello verde, e lo stesso fece Elisa, con lui. Di nuovo individuarono e furono concordi sugli ingredienti e sul fatto che qualcosa sfuggiva. E, alla fine, assaggiarono quello azzurro. La scena fu un copia e incolla delle precedenti ad eccezione della reazione dello zio al secondo sorso: iniziò a sorridere.

“Zio, che succede? Perchè sorridi?”

“Perché… non lo so, tesoro. Mi sento improvvisamente molto bene.”

“Possiamo chiedere al tuo amico di aiutarci a decifrare i componenti?”

“Ma certo!”

Chiamarono un caro amico dello zio che li raggiunse immediatamente, abbandonando le preghiere del mattino.

Composto verde: tutti d’accordo. Composto azzurro: idem. Composto ambrato: repetita iuvant? No, in questo caso non stavano aiutando ma… ecco comparire un enorme sorriso sul volto del monaco.

“Paolo, va tutto bene?”

“Oh sì, cara. Va tutto benissimo. Anzi, potrei dirti quasi mai stato meglio. Mi è passato un fastidioso dolorino all’anca che avevo da giorni e mi sento molto sereno.”

Elisa si fece sospettosa. Un’idea iniziava a farsi strada nella sua mente.

Tornò a casa da Gerardo e gli raccontò l’accaduto.

“Amore ma e se… ipotizzo… lo so che è una follia ma… e se…”

“Si fossero trasformate in elisir di felicità?”

“Ecco! L’hai detto tu! Potrei provare con i miei clienti e vedere cosa succede.”

“E come farai a capire quale colore dare loro?”

“Come ho sempre fatto: conoscenza e istinto. Gli ingredienti principali di ognuno li ho riconosciuti. Normalmente mi basta vederli entrare per sapere cosa dare loro, farò così anche questa volta.”

E così fece. Portò i botticini in erboristeria e chiese ai suoi clienti se volessero provare un nuovo composto, in base ai sintomi che le descrivevano.

I più acconsentirono, di buon grado. E poi si mise in testa che avrebbe dovuto attendere, per avere un riscontro, almeno qualche giorno. Alla sola idea, era già tutta un fremito di impazienza.

Ma non fu un’agonia molto lunga: già dal giorno successivo iniziarono a tornare in erboristeria, con doni e ringraziamenti per aver fatto passare qualcosa che li tormentava da lungo tempo e, tutti, si dichiaravano felici.

Elisa era sconvolta. Tirò giù la serranda e corse da Gerardo.

“Amore, ti rendi conto di cosa è successo? Erano tutti felici! Ma com’è possibile?”

Gerardo, uomo di fantasia, ma con grande senso pratico, alzò un sopracciglio e rimase in silenzio, a lungo.

“Gerardo, ti prego! Vuoi dire qualcosa?”

“Io credo che…”

“Sì?”

“Beh io credo che… la magia che hai tanto cercato sia arrivata.”

“E come?”

“Come io non lo so. Posso solo ipotizzare.” “Ok, ipotizza, ti supplico. Perché io sto impazzendo.”

“Tutti gli sforzi, l’amore che hai messo nelle tue ricerche, le preghiere nelle notti insonni sono stati ripagati ed ascoltati. Mettendoti alla ricerca della felicità, nella tua vita, ogni singolo giorno, alla fine l’hai prodotta. Forse trasformando il mobile, con la pittura, pensando al roseto della Certosa, si è creata una piccola magia. Ma che poi, alla fine, la magia non è anche questo? Trovare la felicità nelle piccole cose di tutti i giorni?”

E da quel momento in poi, mai smisero di imbottigliare la loro felicità e mai mancarono botticini colorati per i suoi clienti.


- Sara -

24 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page