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Immagine del redattoreSara

Colorandia


«Uffa! Non riesco a combinare niente!». Miriam si alzò, sbuffando, e uscì sul portico.

Come ogni anno era a trascorrere le vacanze estive a casa dei nonni, sull’Isola della Maddalena.

Osservò divertita i gatti che si rincorrevano in giardino e cercò di resistere alla tentazione di

sedersi sull’amaca. E anche di scendere al mare. Le vacanze erano quasi terminate e la mole di cose da studiare era ancora da smaltire.


«Difficile studiare con questo bel sole, vero?». La nonna era sbucata alle sue spalle.

«Una tortura!».

«Perché non vai in soffitta a vedere se trovi qualche foto di papà?».

Il volto di Miriam s’illuminò: non le aveva mai permesso di salire in soffitta! Balzò in piedi

con un sorriso pieno di gioia e gratitudine e, in men che non si dica, già apriva la porta di

legno rosso in cima alla scala con il corrimano a pois.

Era una soffitta ordinata e piena di scatole, ma Miriam si concentrò solo su quelle in cui c’era scritto “Robert”, il nome di suo padre.

Erano quelle più grandi e Miriam tirò fuori un po’ di tutto prima di arrivare alle foto: diplomi,

vecchie magliette, certificati, diari e vari oggetti di cui ignorava completamente l’esistenza.

Quando arrivò all’ultimo album di foto, si accorse che, in quella scatola, c’erano anche i Ray

Ban di suo papà. Li prese in mano e una sensazione di calore le salì dalla pancia verso le guance. Lui amava quegli occhiali, li aveva sempre con sé. Si portò una mano alla bocca per trattenere un singhiozzo. Li osservò e sentì l’irrefrenabile desiderio di indossarli.


“Che cosa strana...”, pensò. “Sembrano da sole, ma non vedo affatto scuro!”.

«Capitano Miller!» una voce squillante la destò dai suoi pensieri. «Capitano Miller! Per la miseria! Vuole sbrigarsi?».

Miriam si guardò attorno, stupefatta: accanto a lei c’era un enorme pappagallo rosso che le

tirava la manica della t-shirt; tutto intorno una rigogliosa vegetazione e, in lontananza,

riusciva ad intravedere una piccola valle dalla quale salivano, verso l’alto, cumuli di fumo

colorato e arrivavano urla di disperazione. Che fine aveva fatto la soffitta?

Il pappagallo continuava a tirarla con il suo becco liscio: «Capitano Miller! Si vuole dare una

mossa? Siamo in guerra!».

«Tu chi sei?».

«Sono Spritz, Capitano Miller!».

«Io non sono il Capitano Miller. Mio padre era il Capitano Miller!».

«Il Capitano Robert Miller è prigioniero! Quindi ora lei è il Capitano Miller!».

«Mio padre è morto!».

«Non ancora! Dobbiamo sbrigarci e liberarlo! Per la miseria! Finalmente è arrivata! Se l’è

presa comoda, eh? Un po’ come adesso! Vogliamo cercare di vincere almeno questa

battaglia?».

Miriam avvertiva un gran giramento di testa ed un po’ di nausea. Non poteva credere a quello che vedeva e sentiva. Tutto appariva strepitosamente pieno di colore: gli alberi, le nubi di fumo, il pappagallo. Notò che, da dietro i cespugli e in mezzo alle fronde degli alberi, occhietti curiosi di animali di ogni genere non la perdevano di vista.

«Forza Capitano! Se non riportiamo le Farfalle in campo entro oggi saremo davvero

spacciati!».

Miriam era del tutto frastornata: «Io non ho idea di cosa tu stia parlando! Dove mi trovo?».

Spritz inclinò leggermente la testina di lato: «Per la miseria! Suo padre non le ha raccontato

nulla di Colorandia?».


«Colorandia...?» ripetè Miriam, cercando di ricordare.

Spritz sbuffò: «Per la miseria! L’equilibrio dei colori!».

Miriam lo fissava come un pesce lesso, scuotendo il capo.

«Gli Esseri Complessi? I Completi? ... Il Nero? E il Grigio?».

Miriam sempre con lo sguardo fisso: «Ma no!».

Spritz agitò le ali verso l’alto e arruffò le piume sulla testa, creando una crestina: «A me!

Sempre a me il lavoro sporco! Sempre a me! Ignorano le cose fondamentali della vita e io

devo risolvere le lacune altrui!». Spritz prese a girare in tondo, a capo chino, parlando tra sé e sé a voce alta ed agitando le ali di tanto in tanto: «Il maggiore rappresentante dei Completi di tutti i tempi degli arcobaleni e sua figlia? Non sa niente! Sono sottopagato per questo! Io sono sottopagato! Io mi dimetterò! Ah! Ne potete stare certi: finito tutto questo io mi dimetterò!».

«Vuoi smetterla di girare in tondo come un pazzo? Mi stai facendo venire il mal di mare!»

gridò Miriam.

«Venga con me: la porterò alle gabbie in cui vengono tenute le Farfalle. Lei... brilla! Per la

miseria! Saprà cosa fare una volta lì.». E riprese a tirarla per la manica.


Miriam aveva abbandonato lo stordimento e stava abbracciando il panico: «Smettila! Smettila di tirarmi! Non verrò da nessuna parte! Dimmi come tornare a casa! Subito!».

Il mondo intorno a lei cominciò a sbiadire. Gli animali sembravano improvvisamente usciti

da una vecchia pellicola vintage. Tutto il mondo intorno era diventato pallido, quasi senza

colore.

Spritz alzò il capo, dal piumaggio ormai leggermente rosato, verso Miriam. La supplicò: «Lo

vede, Capitano? Le brutte notizie ci sbiadiscono. Il Grigio della tristezza sta avendo la

meglio. La prego, ci aiuti.».

Miriam ci pensò su, emise un lungo sospiro: «E sia...» disse poco convinta.

Le piume di Spritz ripresero velocemente a pigmentarsi di rosso. Il mondo era di nuovo

colorato e Miriam si trovò, senza rendersene conto, lanciata in un galoppo a grande velocità in groppa ad uno struzzo, con Spritz alle redini: «Vedrà, Capitano, con gli struzzi saremo dalle Farfalle in un batter d’occhio!».


Miriam cercava di osservare il paesaggio, ma gli occhi le lacrimavano per via dell’impatto

con l’aria. La cavalcata si arrestò bruscamente, catapultandola a terra, davanti ad enormi e

tetre gabbie nere.

Il reticolato era fatto da sbarre sottili ed intrecciate molto fitte. Al loro interno erano

imprigionate bellissime farfalle, con ali tanto dense da sembrare polpa di uva fragola.

Giacevano a terra, inermi e senza colore, come vecchie coperte sgualcite.

Miriam non aveva idea di cosa avrebbe potuto fare. Istintivamente poggiò le mani sulle

sbarre ed un grande senso di tristezza s’impossessò di lei.

«No! Non le tocchi! Sono intrise di Nero!» gridò Spritz.

«Io non so perché sono qui! Non so come fare a liberarle!» esclamò Miriam.

«Per la miseria! Deve solo liberare i colori, Capitano!»

“Liberare i colori. Liberare i colori. Ma come?”.

«L’arte è il miglior modo per liberare i colori. Presto! Non abbiamo molto tempo!».


Miriam sentiva il richiamo del Nero spingerla verso le gabbie: era difficilissimo resistere. Il

terrore le faceva andare il sangue al cervello, il cuore le batteva all’impazzata. Più si sentiva

attratta dalle sbarre e più il mondo intorno a lei scoloriva, di nuovo.

Stava sudando, non riusciva a fare null’altro se non fissare le gabbie e le Farfalle.

Più si avvicinava, più si sentiva pietrificata dalla paura eppure le sembrava impossibile non

toccarle. Non aveva davvero idea di cosa poter fare.

“L’arte è il miglior modo. L’arte è il miglior modo. Pensa! Forza, Miriam!”.

Si stava accasciando a terra, sempre più triste. Guardava Spritz diventare rosa e vedeva la

delusione nel suo sguardo. Il mondo intorno a lei era quasi grigio, ormai.

Perché suo papà non le aveva raccontato nulla di Colorandia? Magari ora avrebbe saputo

come fare per liberare quelle meravigliose Farfalle!

La tristezza la invadeva, era inarrestabile. Non riusciva a trattenere le lacrime che presto si

trasformarono in singhiozzi. Si sentiva pervasa da un sordo dolore, come se la morte di suo

padre le fosse stata annunciata nuovamente. La trama delle gabbie era sempre più fitta, quasi non vedeva più le Farfalle. Il petto premeva, come se avesse sopra un grosso peso. Il fiato era corto, come se mancasse l’ossigeno. La tristezza era diventata disperazione. Le si annebbiò lo sguardo. Chiuse gli occhi, dai quali non smettevano di piovere lacrimoni grigi.

All’improvviso, come se qualcuno avesse aperto una piccola porta da qualche parte nella sua mente e giungesse una musica da lontano, le parve di sentire la canzoncina che suo papà le cantava da piccola, per insegnarle i colori. Era stata la prima che aveva trascritto sul pentagramma.

“Red and yellow and pink and green...”.

Con moltissima fatica, raccolse le energie, aprì gli occhi, si issò sulle braccia ed iniziò a

canticchiare. Il fiato le si bloccava in gola per via dell’angoscia di cui si faceva padrone il

Nero. «Purple and orange and blue. I can see the rainbow, see the rainbow...».

Riprese fiato: «Red and yellow»... qualcosa stava cambiando, «and pink and green...». Non solo qualcosa stava cambiando, era un miracolo: il mondo stava riprendendo colore e le gabbie si stavano dissolvendo, lasciando posto a bellissimi fiori multicolore. Miriam continuò a cantare. Chiuse di nuovo gli occhi, immaginando le note sul pentagramma. Quando li riaprì, tutto, intorno a lei, era tornato vivido come prima.


Migliaia di farfalle coloravano l’aria, volando verso la valle, in danze leggiadre. Ad ogni

battito d’ali si creavano fumetti di colore che aleggiavano intorno a loro, per poi posarsi sugli oggetti, donando nuovi colori, sempre più intensi.

«Capitano Miller! Per la miseria! Ce l’ha fatta! Lo sapevo! Le Farfalle andranno a liberare

suo padre ed i prigionieri!».

«Spritz, dov’è mio padre? Voglio raggiungerlo!».

Miriam, stremata, si sfilò gli occhiali che le stavano scivolando via dal naso. Non si era

accorta di averli indossati fino ad allora. Appena il tempo di guardarli ed era di nuovo in

mezzo agli scatoloni in soffitta, sdraiata a terra, madida di sudore. Era incredula!


Si alzò e corse giù dalle scale, in cucina:

«Che c’è, cara? Hai l’aria sconvolta! Non hai trovato le foto?» disse sua nonna con una coppa da cocktail in mano mentre usciva sul portico.

«Cosa? Ah, sì, le foto. Le ho dimenticate. Nonna! Tu davvero non crederai mai a cosa mi è

appena successo!».

«Sai cosa credo? Che sia stato assurdo aver dato il nome di un pappagallo così

arrogante ad un cocktail così buono!».

«Che... cosa? Nonna? Nonna, aspetta! Dove vai?».

«In giardino. Hai notato che i gatti giocano di nuovo con le farfalle?».

Miriam sgranò gli occhi e poi sorrise.

«Tuo nonno sta tornando, cara. Non parliamone ora. Tieni, bevi questo e riposati un po’.».


- Sara -


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