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Immagine del redattoreSilvia

Attacco di Panico a Ginevra

Aggiornamento: 23 mag

“Cosa ricorda del giorno in cui ha sviluppato questi attacchi di panico, signorina?”


Anne fece un lungo respiro, chiuse gli occhi e iniziò il suo racconto.


“Il sole splendeva, infondendo calore e luce nelle strade affollate della città. Il festival di Ginevra era nel suo pieno svolgimento, con le bancarelle che offrivano di tutto, dai cibi tradizionali ad oggetti di artigianato unico. Il canto dei musicisti di strada si mescolava alle risate: eravamo tutti felici e sereni.

Non sapevamo che qualcosa di oscuro si stava muovendo tra le ombre, un’entità antica e malevola che aveva atteso quel momento per molto tempo. Panico, demone della follia, si aggirava tra la gente, assaporando l’energia vibrante ma ordinata del nostro festival. I suoi occhi brillavano di malizia mentre ci osservava festeggiare, ignari del caos che era pronto a scatenare da lì a poco.”


Anne si fermò, sospirando un poco prima di continuare a raccontare la sua storia.

Lo psicologo smise di scrivere sul taccuino e le sorrise benevolo, invitandola a proseguire.


“Io lo so che lei non mi crede, ma io l’ho visto! L’ho visto mentre si avvicinava alla piazza principale della città, l’ho visto mentre si soffermava accanto a una giovane coppia che rideva e scherzava, scambiandosi occhiate d’amore. Ho visto Panico allungare la mano scheletrica verso di loro, accarezzare la guancia e sussurrare parole strane nell’orecchio della ragazza.

Ho visto il sorriso della ragazza congelarsi, gli occhi spalancarsi di terrore e ho sentito il suo urlo disumano squarciare l’aria.

Le risate si sono spente, sostituite da sguardi confusi e preoccupati.

Panico aveva piantato il seme della paura.”


Anne si arrestò di nuovo, attendendo qualche domanda da parte dello psicologo.

Le facevano sempre qualche domanda, a questo punto.

Stranamente, stavolta lui rimase in silenzio, in attesa che lei continuasse.


“La folla cominciò a agitarsi, innescata dall’urlo improvviso. Le persone si spingevano, cercando di capire cosa stesse succedendo. Gli altri bambini si guardavano intorno, stupiti e spaventati dal modo in cui si comportavano gli adulti.

Solo io ero riuscita a vedere Panico prima che iniziasse a muoversi rapido tra la folla. Il demone proseguiva la sua danza, sussurrando altre maledizioni nelle orecchie dei presenti.

Ogni sussurro provocava un’ondata di terrore, una reazione a catena che si diffondeva come un incendio in un pagliaio.

Nel giro di pochi minuti, la piazza si trasformò in un caos totale. Le bancarelle venivano rovesciate, i tavoli spezzati, la gente correva in ogni direzione, spinta da una paura irrazionale e incontrollabile. I Genitori urlavano i nomi dei loro figli, quando li perdevano nella confusione. Un gruppo di ragazzi più grandi si schiantò contro un palco, la struttura crollò sopra di loro. La musica, che un attimo prima riempiva l’aria, si trasformò in un frastuono distorto e inquietante che odorava di morte.

Guardavo Panico, che intanto osservava il disastro con soddisfazione. Il suo potere cresceva in ogni grido, in ogni sguardo terrorizzato. La sua risata riecheggiava per le strade, anche se nessuno poteva sentirla, persi com’erano nella dilagante follia.

I poliziotti cercavano di contenere il caos, ma Panico era troppo rapido, troppo potente. Ogni volta che un agente cercava di calmare qualcuno, il demone interveniva, sussurrandogli nuove paure, seminando nuova follia.

Il terrore si propagava come un virus, inghiottendo tutto e tutti.

Poi il demone mi notò, vide che lo guardavo piangendo.”


Anne iniziò a respirare con difficoltà.

Lo specialista le offrì un bicchiere d’acqua, si avvicinò e le mise una mano sulla spalla, invitandola a farsi forza e continuare la sua storia.

Dopo un po', la donna riprese a parlare.


“Io mi trovavo in un angolo della piazza. Ero arrivata da poco, con mio nonno. A scuola dicevano che ero una bambina intelligente ma fin troppo sensibile: forse era per quello che vedevo gli spiriti. O forse avevano ragione gli insegnanti, li sognavo. Nei bambini non si può mai sapere dove finisce il sogno e comincia la realtà.

Forse era per quello che io vedevo Panico e gli altri no.

Appena lo notai, iniziai a piangere disperata.

Mio nonno, pensando che avessi paura del caos che iniziava a dilagare, mi strinse forte.

Calmati, Anne. Passerà. Diceva così mentre cercava di rassicurarmi, ma i suoi occhi tradivano la paura che sentiva dentro.

Panico ci vide, capì che lo guardavo e decise di risolvere immediatamente il problema. Senza che io potessi fare nulla, si avvicinò silenziosamente e bisbigliò qualcosa all’orecchio del nonno. In un istante, lui si irrigidì, gli occhi si riempirono di un terrore insondabile, e cominciò a gridare frasi sconnesse, terrorizzandomi ulteriormente e strattonandomi, fino a scaraventarmi in preda alla follia contro un muro e farmi perdere i sensi per un momento.

Panico attese sogghignante il mio risveglio, poi mi attaccò: prima m’indicò beffardo il nonno, che ora correva in mezzo al fiume di gente impazzito, poi, mentre ero ancora intorpidita, mi abbracciò.

Sentii il respiro che si arrestava.

Sentii il cuore battere all’impazzata.

Sentii lo stomaco torcersi in una morsa di terrore incontrollabile.

Sentii i muscoli rigidi.

Non riuscii più a controllare i nervi iper-sollecitati e al contempo completamente paralizzati. Mi vennero le convulsioni e sperai di morire.

Non morii.”


Anne deglutì, mentre una lacrima metteva fine al suo racconto.

Il resto della storia era scritto nelle cronache di quella giornata.


Dopo ore di panico inarrestabile, intervenne l’esercito, che per placare il caos fu costretto a sparare sulla folla e ad aumentare il bilancio delle vittime: la follia collettiva aveva causato oltre 50 morti, tra vittime degli spari e persone travolte dalla gente impazzita.

L’arrivo della Morte aveva arrestato il demone, che ora lentamente si ritirava soddisfatto nell’oscurità, in attesa della prossima occasione per colpire, consapevole di aver neutralizzato anche quella bambina impertinente.


La folla, esausta e sconvolta, dopo gli spari lentamente si calmò.

Le cicatrici di quel giorno sarebbero rimaste nella memoria collettiva della città per gli anni a venire, un oscuro ricordo del potere distruttivo del caos.

Tra tutti, colei che forse portò le peggiori conseguenze di quel disastro fu la piccola Anne.


Alcuni giornali riportavano la sua vicenda.

Suo nonno fu una delle vittime di quella giornata; la bambina non si riprese mai del tutto.

I genitori, dopo aver tentato invano di placare gli attacchi di panico che la assalivano di tanto in tanto e che con la pubertà erano aumentati di gravità e intensità, l’avevano inserita in una struttura protetta, sperando che qualcuno riuscisse ad aiutarla, facendola tornare la persona serena e intelligente che era stata.

Era proprio lei che ora, seduta sulla poltrona in tessuto grigio chiaro, si tormentava le mani e s’imponeva di continuare a respirare, attaccata alla tenue speranza che, stavolta, qualcuno le avrebbe creduto.


Lo psicologo, visibilmente provato dal racconto della paziente che aveva appena finito di ascoltare, si sforzava di trovare una spiegazione plausibile e accettabile per quello che aveva appena udito.

D’altronde, il racconto era talmente assurdo che non poteva certo essere reale.

Esaminò brevemente le carte contenute nel dossier di Anne, osservò le foto del cadavere di suo nonno, trivellato e calpestato.

Chiunque avrebbe sviluppato dei meccanismi di difesa.


Dopo alcuni minuti, finalmente rivolse ad Anne una semplice domanda.

“E da quanto tempo rivive questo sogno?”


Anne s’incupì.

Aveva davvero sperato che stavolta le avrebbero creduto, che lo psicologo avrebbe capito che stava raccontando la verità, la sua verità.

Iniziò a visualizzare nella mente gli anni che l'aspettavano, chiusa in quella prigione infernale dove sedavano mente e spirito.

Prese a ridere sommessamente, follemente, mentre già Panico le solleticava i piedi.


Lo sentì salire, stritolare il controllo che si sforzava di applicare strenuamente ogni volta che ne percepiva l'incombente arrivo.

Sentì il suo abbraccio irrigidirle le membra.

Sentì il suo respiro bloccarle i nervi e congelarle il fiato.

Lanciò un ultimo sguardo rassegnato a quello psicologo che ora la osservava dubbioso e spaventato, non osando toccarla.


E poi fu il buio.

E poi fu il caos.


Silvia Faletto B.


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