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Immagine del redattoreSilvia

Una notte, in treno.

Selene

Di nuovo questo treno.

Questo maledetto, interminabile ammasso di vecchia ferraglia, neon e sedili di finto tessuto o finta pelle, a seconda del cazzo di vagone in cui ti ritrovi.

Che palle la mia vita.

Su e giù, sempre lo stesso tragitto e la stessa cazzo di miserabile vita.

Anche stasera cerco di darmi un tono, facendo finta di scrivere il grande romanzo su un taccuino simil Moleskine che ho comprato a 2 euro dai cinesi.

E’ tutto finto, pura apparenza.

Come questo cappotto in tweed di mio nonno che fa tanta ecochic brit, che nasconde comunque minigonna e tacchi a spillo, necessari per la mia… Professione?

Come ci sono finita in quello schifo di posto?

Che cazzo ci faccio a ballare in un Privè tipo scimmia ammaestrata, io che da grande volevo diventare una grande fotografa, io che al liceo mi chiamavano la nuova Vivian Maier?

E invece… Per quella cazzo di cocaina guarda dove sono finita.

Che poi ho pure smesso.

Ma tanto i soldi non bastano comunque, con tutti i debiti che ho fatto.

E allora perchè stasera non cambio qualcosa e mi butto sotto questo treno di merda?

Farla finita… Valgo più da morta che da viva.

Bello il panorama, però.

Magari stasera è la volta buona che prendo il coraggio.

Ma tu? Che cazzo hai da guardare attraverso il finestrino?

Ci mancava lo stalker.


Milo

Eccola.

Quant’è bella. Figurati se mi ha mai notato.

Eccola lì, che di nuovo scrive su quel taccuino orribile. Un giorno le regalerò una Moleskine vera.

Vorrei lo stesso essere la penna e il foglio, per conoscere i suoi pensieri.

Ecco che nasconde le gambe nude sotto quel vecchio cappotto tweed dal taglio maschile. Non posso non guardarla.

Non posso non sognarla, non desiderarla.

Pensa che non abbia notato la minigonna, crede che non sappia dove lavora. Il perché della distruzione nel suo sguardo. E invece lo so.

Lo so, perché l’ho seguita.

So che è da stalker, so che non dovevo, non sono affari miei.

Ma cazzo io dovevo capire, dovevo sapere.

Ma per quale motivo una creatura così perfetta, che su Instagram pubblica delle foto e delle poesie fighissime lavora in un posto come quello?

Perché si uccide così?

Ma adesso basta, stasera io… Stasera me ne frego, me la porto via, per sempre.

E se qualcuno prova a fermarmi… Vaffanculo, faccio una strage.

Mi amerà, lo so.

Mi ama ma non lo sa.

Merda, sta scendendo. Devo andare.



Jan

Oh, finalmente è arrivata, in ritardo come al solito.

Anche stasera sguardo assente e taccuino in mano.

Glielo devo bruciare quel taccuino. Più tardi lo faccio.

E poi me la faccio, giusto per levarle quello sguardo supponente dagli occhi.

Tanto anche se piange, se si dispera, dove cazzo vuoi che vada?

Senza di me torna a farsi in mezzo a una strada, cosa crede?

E quello stoccafisso che le viene dietro chi è? Non l’ho mai visto qui.

L’avrà rimorchiato in treno.

Tanto meglio, soldi per me.

Speriamo che paghi in contanti.

Se non lo fa… Ho i miei metodi per fargli passare la voglia di fare quel che gli pare con la roba e le donne degli altri.


“Sei in ritardo, vai a cambiarti e vai nel Privè. E portati dietro quel tizio, lì. Il primo giro è gratis”.

Selene

Oddio, ma questo che vuole?

Mi ha seguita fin qui e ora devo pure passarci un’ora nel Privè?

Minchia, speriamo che non mi accoltelli.

M’infilo il taccuino nello stivale, tanto per portarmi fortuna. Al massimo glielo infilo in un occhio.

Certo che è strano…

Non è certo il tipo adatto a entrare qui dentro! Anzi, è proprio un nerd.

Va beh, tanto ormai non c’è alternativa.

Speriamo almeno di fare in fretta. Che gli si rizzi in fretta e di uscirne viva.

Che poi, anche se così non fosse, che cazzo me ne frega?

Tanto stasera mi ammazzo.


Milo

Merda. E adesso cosa faccio? Cosa le dico?

Tra due secondi entrerà da quella porta e io… E io che cazzo faccio?

Dovevo aspettarla fuori, porca miseria. Non ho manco i soldi per pagare.

Oddio, sta arrivando, la sento. E ora che cosa faccio?

Cosa diavolo mi è venuto in mente?

Il taccuino, devo trovare quel taccuino e portarli via.


Selene entra nella porta a vetri oscurati del Privè.
Sorride, con lo sguardo rivolto a terra. Indossa le orecchie da coniglietta, un body di pelle nera traslucida di infima qualità e degli stivaloni neri tacco 16.
Si avvicina timidamente a Milo, che è scattato in piedi.
Gli dice: “Ciao, hai scovato la tua coniglietta!”
Lui la afferra, con una forza che non sapeva di avere.
Le tira giù l’elastico degli stivali, cercando qualcosa.
Lei rimane immobile, terrorizzata. Non si aspettava certo quella reazione. Teme che sia un feticista, o qualcosa di simile.
“Ehi, guarda che cose strane non ne faccio”. Lo avvisa, sperando che si accontenti del… Servizio consueto.
Lui la ignora, intanto le ha sfilato gli stivali e ha in mano il suo taccuino, che sfoglia come se fosse il Graal.
“Io… Tu… Io ti porto via da qui, Amore mio!” E prima che lei possa dire o fare qualsiasi cosa la stringe e la bacia con tutto l’Amore di cui è capace, con tutto il desiderio che in quel momento gli riempie l’anima.
Selene rimane interdetta. Non… Non se l’aspettava.
E poi… Una lacrima, poi due, poi tre.
Lei voleva morire, intendeva davvero farlo.
Ma ora?
Desidera, brama soltanto un altro bacio così.
Milo la afferra per la vita, le butta via quelle orecchie orribili e la trascina fuori dalla porta.
Devono scappare, lo sanno.
Il locale è pieno di telecamere e gli scagnozzi di Jan sono già sul piede di guerra.
Iniziano a correre, Selene lo guida lungo un corridoio secondario, si infilano nelle cucine dove uno stuolo di clandestini frigge tutto il possibile.
Li hanno quasi presi, un colpo di pistola parte ma prende alla nuca un ragazzo che pulisce il pavimento.
Poco male, domani ci sarà un altro pronto a prendere il suo posto pur di sbarcare il lunario. Jan sbatte con un calcio il corpo senza vita contro una parete.
Troppo tardi, sono fuggiti.
...

Jan è furibondo.

Odia quando rubano le sue Cose.

Guarda torvo l’uscita, cercando di capire chi chiamare per consumare la sua vendetta.

Va dalle altre, in camerino, ne uccide una a caso a sangue freddo.

Minaccia di farle fuori tutte se non daranno informazioni.

“Il treno… Selene… Prendeva il treno” Mormora la più giovane di tutte, una ragazza di appena 18 anni, mentre lui le punta l’arma alla nuca.

Si gira, ritira la pistola poi cambia idea e le spara: non gli piacciono i vigliacchi.

Corre fuori, lasciando dietro una scia di sangue, urla e lacrime.

Non gliene frega un cazzo: quelle ragazze sono roba sua.

Sale in auto, una Porsche nera, ultimo modello, con i vetri oscurati.

Comincia la caccia.


Milo e Selene intanto sono arrivati alla stazione correndo a perdifiato. Selene ha i piedi tagliati e bruciati dall’asfalto, ma non le importa.

Si fermano un momento, respirano, ma lei inizia a tremare: si rende conto di avere freddo, senza il cappotto di tweed.

Milo le posa sulle spalle la sua giacca.

Lei sorride.

Guardano il tabellone, il prossimo treno parte tra cinque minuti.

Riprendono a correre, Salgono appena in tempo.

Il controllore li guarda salire, non chiede nulla.

Sembra che abbiano già abbastanza guai senza la sua multa.

Si infilano in un sedile di un vagone vuoto.


E’ notte fonda.

Allontanandosi dalla città, iniziano a intravedersi le stelle.

Milo estrae il taccuino.

Vuole leggere dentro di lei, vuole conoscere l’oggetto del suo Amore.

Selene lo ferma, con un sorriso. Lei non è lì, lei è seduta accanto a lui, con la mano nella sua. Gli da un bacio sulla punta delle dita.

Si baciano, finalmente liberi.

Si lasciano trasportare dal rollio del treno e dalle luci delle stelle.

Il capotreno li lascia fare, chiude le porte dello scompartimento.

I baci diventano coccole, le coccole diventano carezze, le carezze diventano sospiri di desiderio, di brama d’Amore.

Raggiungono l’amplesso proprio mentre si fermano in stazione; distratti dal momento di godimento carnale, non notano una figura in tailleur nero che li affianca.


Senza una parola lui estrae una pistola con il silenziatore, due colpi secchi alla testa ed è tutto finito.

Si allontana mentre rivoli di sangue colano dai due corpi senza vita.

Li lascia così, con il sorriso dipinto in volto, uniti per l’eternità in quella folle fuga di desiderio d’Amore.

Il taccuino scivola dalla mano di Milo, cade a terra accanto ai due amanti sfortunati.


Lo raccoglie il capotreno.
Non lo consegna alla polizia, non vuole che i pensieri di quella povera ragazza vengano diffusi e sporcati ulteriormente da questo mondo che le ha fatto così tanto del male.
Lo seppellisce nel suo giardino, e alla nascita di sua figlia, Selene, vi pianta sopra un roseto.

-Silvia-


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