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Immagine del redattoreIlle

Un batuffolo Nero

Aggiornamento: 10 gen



Guardava fuori dal finestrino incantata dal paesaggio. Gli alberi scorrevano veloci, come i suoi pensieri.

Si era ritrovata spesso a chiedersi come avesse fatto la sua vita a trasformarsi così velocemente nel giro di qualche mesi.

 

                                                                       ***

 

Ofelia viveva in una piccola cittadina in provincia di Vicenza, col padre Bartolomeo, da sempre. Era nata e cresciuta in questo luogo fatto a misura di uomo. Da quando, ormai quasi dieci anni prima, era morta la madre, aveva messo nel cassetto (e chiuso a chiave) il sogno di cambiare posto, di andare ad esplorare la Città. Non sarebbe mai riuscita a lasciare da solo il padre, che dopo la morte della moglie, non era mai più riuscito a rifarsi una vita.

Ofelia, oltre agli occhi azzurri e ai capelli neri corvino, aveva ereditato dalla madre la passione per la poesia e per la scrittura. Amava, infatti, le poesie, e scrivere racconti per bambini. Immaginare mondi incantanti, fate, folletti e gnomi e metterli nero su bianco, era il suo sogno. Era anche stata contattata da una casa editrice che aveva letto dei suoi racconti, ma alla proposta di un contratto di lavoro, Ofelia si era tirata indietro: si sarebbe dovuta trasferire a Roma, e per lei era impensabile allontanarsi così tanto dal padre.

Si era accontenta del lavoro come commessa che aveva trovato nella libreria del suo paese ed essendo l’unica, fungeva anche da biblioteca. Stare tra i libri, vecchi, usati, letti, e riletti, o in mezzo alle nuove copertine, ancora imballati, per lei era impagabile. L’odore che emanavano i libri per lei era ossigeno.

La sua vita era racchiusa tutta lì: la casa in cui era cresciuta, la sua camera mansardata, il giardino davanti casa, le amiche che si portava dietro dai tempi dell’elementari (almeno quelle che non avevano lasciato il paese) il suo umile lavoro, e le sue fiabe.

 

Il giorno che conobbe Fabio, il paese era in festa. Era il santo patrono della cittadina e le vie erano gremite di turisti e di gente venuta da ogni dove per visitare il luogo e per assaggiare i prodotti tipici del posto.

Ofelia stava chiudendo la libreria, come ogni giorno all’ora di pranzo per dirigersi a casa a mangiare, quando Fabio le si avvicinò:

“Siete già chiusi?”

Ofelia abbozzò un sorriso e si girò a guardarlo. E ne rimase particolarmente colpita.

“Per questi giorni che c’è la festa, la libreria rimane chiusa solo un’ora e mezza a pranzo. Può tornare per quell’ora se le serve qualcosa”

Esattamente un’ora e mezza dopo Ofelia riaprì la libreria, ed il primo cliente fu Fabio.

 

Fabio si trovava in paese di passaggio, la sua destinazione finale era Vicenza, ma incuriosito dalla quantità di gente che aveva trovato per le strade, aveva deciso di fermarsi a visitare il posto. Gli serviva semplicemente una guida turistica. Perciò si recò nell’unica libreria della città.

Dopo l’incontro con Ofelia, Fabio, casualmente, passò sempre più spesso, con una scusa o con l’altra. Questa cosa avvenne per dei mesi, fino a quando, finalmente non si dichiarò alla ragazza, iniziando così la frequentazione. Frequentazione che era sempre più difficile, in quanto la vita di Fabio era a Verona, o in giro per il nord Italia, sempre piena di eventi, aste, mostre, mentre la vita di Ofelia era in un piccolo paesino in provincia di Vicenza che contava a malapena millecinquecento abitanti. Venivano da due realtà molto diverse, erano loro due molti diversi, ma il legame che si era creato, era molto profondo. Tanto che quando Ofelia si ritrovò a parlare col padre di queste diversità, sui suoi dubbi, del suo malessere, lui stesso la incoraggiò ad accettare la proposta di Fabio, di andare a vivere a Verona con lui, almeno così da tagliare la distanza.

Dopo notti insonne, sensi di colpa messi a tacere, dubbi, ansie e chi più ne ha più ne metta, Ofelia accettò.

 

                                                                             ***

 

E ora sul quel treno che la stava portando nella sua nuova vita, i mille pensieri, paure e angosce, le stavano facendo compagnia.

Si chiedeva se avesse fatto la scelta giusta, se non fosse stata una decisone avventata, se non fosse stata irresponsabile a lasciare il lavoro, suo padre, la sua casa di infanzia. Era sommersa da mille pensieri che correvano veloci esattamente come quegli alberi fuori dal finestrino.

 

Fabio era sul binario ad aspettarla con un mazzo di rose rosse in mano. Emozionata, le andò incontro abbracciandolo e baciandolo.

Arrivati a casa, venne accolta da un senso di familiarità. Non capì subito cosa fosse, ma quel piccolo appartamento a due passi dall’arena, la fece sentire subito a “casa”.

Utilizzava la bicicletta lasciata dalla sorella di Fabio per spostarsi nella città. Verona era molto bella, ma anche abbastanza piccola, tanto che in una settimana, riuscì a vedere tutto quello che si era appuntata nel suo taccuino.

Portò curriculum prima nelle librerie, e successivamente in qualsiasi negozio dove vedeva il cartello di cercasi personale. Non credeva d riuscire subito a trovare lavoro, ma i mesi passavano e lei era ancora in cerca. Approfittava del suo tempo per scrivere: scriveva poesie d’amore per Fabio, scriveva lettere per suo padre, e scriveva tantissimi racconti di mondi incantanti. Aveva ricercato su internet le case editrici della zona, e, stava preparando una raccolta di racconti da proporre.

La sua nuova vita tutto sommato non le dispiaceva. Verona era molto bella, al momento aveva tanto tempo libero da poter dedicare al suo progetto, stava riuscendo a farsi delle amicizie, la casa dove viveva, anche se non sua, era perfetta; la particolarità che amava di più, era un piccolo balconcino da cui si intravedeva l’arena, che in questo periodo natalizio, veniva illuminata di rosso, argento e oro.

L’unico neo in questa favola, era il suo rapporto con Fabio. Paradossalmente da quando si era trasferita, il loro rapporto si era raffreddato. Dapprima aveva pensato che la causa fosse la sua disoccupazione, ma questo malumore continuò anche dopo che ebbe trovato lavoro. Lui era spesso fuori, viaggiava molto e quando rientrava era sempre stanco per poter fare qualcosa con lei.

Si sentiva sola come non mai.

Quando provò a parlare con Fabio, venne aggredita.

“Ma cosa stai farneticando?! Mi faccio in quattro per non farti mancare nulla, per non farti sentire la mancanza di casa, per non farti pesare che non hai mai contribuito alle spese, ti ho dato una casa, un posto dove stare, e ti lamenti che sono assente??”

Ofelia a quelle parole perse la lucidità, e non seppe cosa rispondere.

Ma per i giorni successivi continuava a risuonarle tutto in testa.

“Mi ha dato una casa? Non ho contribuito alle spese? Ma cosa cavolo sta dicendo?”

 

Nel momento in cui decise che era giusto riaffrontare il discorso, Fabio la precedette.

“Guarda, ci ho pensato. Sono giorni che ci penso. Forse abbiamo fatto una cazzata. Forse non eravamo pronti. Forse sono io che non sono pronto, forse sei tu che sei troppo assillante, non lo so. Ma questa cosa non può continuare. Non sto dicendo che quella sbagliata sei tu, anzi, forse lo sono io. Ma mi sento chiuso in gabbia, ho bisogno dei miei spazi. O forse semplicemente non ti amo come credevo. Non lo so, è tutto un casino nella mia testa. Mi dispiace, ma non mi sento pronto per una convivenza, una relazione così importante.”

“Punto primo: si, il problema sei tu. Punto secondo: magari che non eri pronto ad una convivenza te ne accorgi prima di farmi stravolgere la vita, punto terzo NON SONO AFFATTO ASSILLANTE, punto quarto, hai ragione, non mi ami affatto. Stammi bene”

E con tutta la forza che aveva, Ofelia sbattè la porta di casa così tanto da far tremare le pareti. Si fiondò in strada e iniziò a camminare senza una meta precisa. Non aveva la minima idea di cosa fare, vagava a caso tra i vicoli, fino a quando non le venne in mente di scrivere alla sua collega, se poteva ospitarla per la notte. Fortunatamente Chiara rispose quasi subito, quindi si incamminò da lei.

Passando per Vicoletto della Scala, Ofelia notò un cartone vicino al bidone dell’immondizia un po' particolare: si soffermò a guardarlo, quando finalmente capì che quello che stava osservando era un cane rannicchiato a ciambella. Quando si avvicinò di qualche passo, il cane alzò la testa e iniziò ad abbaiare.

Decise che non era il caso di insistere, il cane sembrava un po' scocciato dalla sua presenza.

A casa della collega, dopo aver raccontato i dettagli della sua rottura con Fabio, si mise sul divano per cercare di dormire e iniziò a pensare a quel cane. Si stupì di ciò: aveva appena chiuso col suo ragazzo, era in una città che non conosceva, con un lavoro precario, senza casa e il suo pensiero in quel momento era quel cane da solo in mezzo alla strada al freddo.

Senza pensarci molto, si vestì, prese del cibo dal frigo, e tornò nel vicoletto. Il cane era sempre lì, rannicchiato su quel cartone. Le si stringeva il cuore a vederlo così. Si avvicinò adagio, si abbassò e tiro fuori il prosciutto cotto che aveva rubato alla collega. Il cane aprì immediatamente gli occhi e, dopo aver dato un’occhiata alla sconosciuta davanti a lui, si fiondò sul cibo. Aspettò qualche secondo, poi Ofelia iniziò ad accarezzargli la testa mentre con l’altra mano gli offriva da mangiare. Il cane, nonostante la perplessità iniziale, si lasciò andare alle carezze della ragazza. Senza pensarci molto, Ofelia, con la cintura del cappotto, fece una sorta di collare con guinzaglio, lo infilò alla testa del cane, e provò a portarlo via.

Arrivata a casa di Chiara, si diresse in bagno per capire in che condizioni era il cane. Accese la luce e finalmente lo vide più chiaramente: era nero per lo più, con una fascia bianca che partiva da sotto il collo e si estendeva su tutto il petto e la pancia. Anche le zampe, erano tutte bianche, tranne una che era nera, fino alla zampina che diventava bianca, quasi come se avesse un calzino. Non era esperta di cani, ma le sembrò abbastanza cucciolo, anche se comunque la taglia era piccola. Nonostante tutto, era messo in buone condizioni. Aveva qualche graffio e qualche crosta qua e là nel corpo, ma non sembrava ferito gravemente.

Il giorno dopo, superate le varie urla della collega, andò da un veterinario, il quale le confermò i suoi sospetti: il cane era giovane, circa 3 mesi, che però aveva già dovuto imparare a vivere in mezzo alla strada. Ma era privo di pulci e zecche. Il veterinario le chiese se volesse tenerlo, e quindi registrarlo all’anagrafe o se avesse dovuto chiamare il canile. Ofelia guardò negli occhi quel batuffolo, e, nuovamente si trovò a fare una cosa del tutto irrazionale

“Lo prendo io”  

 

 

                                                                              ***

 

Qualche settimana dopo, Fabio la chiamò dicendo che era arrivata una lettera per lei, e che gliela avrebbe lasciata al bar sotto casa di Chiara.

Ofelia, grazie alla zia della ragazza che lavorava al supermercato, dove lei faceva la spesa quando stava con Fabio, era andata a vivere in un piccolo ma accogliente appartamento. Si preparò per uscire e andare a prendere la sua posta.  

 

Grazie per l’attenzione rivolta alla nostra casa editrice…. Bla bla bla.. abbiamo letto… bla bla bla… con la presente vorremmo intraprendere una collaborazione con lei”

 

Ofelia urlò dalla felicità appena lesse quelle parole.

“Hai visto Nerone? I miei racconti sono piaciuti!!”

Urlò rivolgendosi al batuffolo nero che stava saltellando insieme a lei.

 

Ofelia ancora non sapeva che quel piccolo esserino che aveva salvato, sarebbe diventato il suo migliore amico, il suo punto fermo, la sua famiglia e che avrebbe vissuto sedici meravigliosi anni con lui, insegnandole cosa fosse l’amore incondizionato. Perché l’amore ha infinite forme.

 

-A te Amore mio, ovunque tu sia-

 

-Ille-



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1 Comment


Romano Portas
Romano Portas
Dec 10, 2023

Bellissimo, una lacrima x Nerone e una per Ofelia. 😢😢❤️❤️

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