top of page
Cerca
Immagine del redattoreSilvia

Notti portuali

L’ispettore scese a Brignole alle 7 del mattino, infastidito e anchilosato da un viaggio lunghissimo e decisamente scomodo. Il vento umido, gelido e invernale che dal mare sferzava la città portuale sembrava invitare chiunque a risalire sul treno e tornarsene da dov’era venuta. D'altronde, cosa puoi aspettarti da Genova? Città superba, ma difficilmente definita “accogliente”.

Rodolfo alzò il bavero del cappotto grigio e si diresse verso il porto, dove lo attendevano i colleghi. La pioggia batteva sui vetri delle finestre come proiettili. All'interno di una di esse, in una stanza buia, un uomo lo osservava dall’alto, non perdendosi alcun suo movimento. Aveva i capelli grigi, la barba leggermente incolta e gli occhi furbi di un gatto che osserva il topo che si avventura fuori dalla tana.

Certo, gli era dispiaciuto far ammazzare quel portuale: in fondo non gli aveva fatto nulla di male. Era un uomo onesto, non c’entrava con i suoi affari. Però, Esposito non sarebbe mai salito fino a Genova se non ce l’avesse attirato. Un po’ come il formaggio nella trappola: aveva dovuto inventarsi qualcosa per farlo uscire da Napoli. Quando lo vide allontanarsi, l’uomo si alzò, pagò il caffè al barista di quell’oscuro circolo, scese in strada e iniziò a seguirlo da lontano

Esposito camminava svelto, sperando di sfuggire da quel freddo al più presto. Nel giaccone teneva stretto il rapporto riguardante un omicidio avvenuto poche ore prima. La vittima era un giovane uomo, trovato morto sul Molo. Il colpo in pieno viso ne aveva reso irriconoscibile il volto. L’ispettore sapeva che questo omicidio era legato al suo lavoro. Erano mesi che seguiva le tracce di quella merda di Fentanyl lungo le strade di Napoli e oltre.

Era come se qualcuno gli stesse lasciando delle tracce, come nel racconto di Hansel e Gretel. Solo che invece di arrivare fuori dal bosco, lui si addentrava sempre più nell’oscurità.

Il rapporto diceva che la vittima era un portuale qualunque, non un pusher che lavorava per i narcotrafficanti. Non aveva precedenti. Probabilmente quel poveraccio era solo capitato nel posto sbagliato nel momento meno opportuno. Eppure, qualcosa in questo omicidio gli diceva che c’era qualcosa di più: era un chiaro segnale.

Esposito guardò le onde che si scagliavano sul porto. Si preparava una mareggiata. L’aria salmastra gli strattonava i baffi. Cercò di accendersi una sigaretta, ma il vento gliela spense quasi subito. Imprecò mentre pensava a quell’ennesima vita spezzata per colpa della droga. Pensò ai narcotrafficanti, che si arricchivano sulla pelle di quei poveri ragazzi, giù a Napoli. La rabbia gli montò al cervello. Lo volevano lì? Lo volevano sfidare? Bene, non si sarebbe certo tirato indietro.

Esposito si avvicinò alla scena del crimine, iniziando a guardarsi intorno come un segugio. Cercava un indizio, un dettaglio che potesse aiutarlo a trovarli. Ma il rapporto aveva già descritto tutto quello che si poteva trovare: una scena scarna, avara di informazioni come quella città.

L'unico indizio era un biglietto trovato accanto al corpo. Il biglietto era scritto in spagnolo e recitava: "Eso es lo que pasa al ratón que intenta atrapar al gato ".

Esposito sapeva che il biglietto era un avvertimento. I narcotrafficanti volevano mandare un messaggio, a lui e a tutti quelli che si opponevano al loro business. Se non si fermava, gli avrebbero fatto fare la stessa fine del portuale.

L’ispettore si allontanò dalla scena e si infilò in un baretto di un caruggio, dove un barista con la tipica gentilezza genovese gli fece notare che l’orario di chiusura si avvicinava. “Non sono ancora le sette. Un caffè al tavolo, per favore.” replicò, con un tono che non ammetteva dinieghi. Al tavolo estrasse nuovamente il rapporto e tutta la pista indiziaria che l’aveva condotto fin lì. La esaminò tutta, sperando di trovare qualcosa di nuovo.

Alle 19.01 si alzò dal tavolo e pagò il barista, che lo osservava ormai con pieno disprezzo. “Ora sono le 19. Buona serata.” Senza aspettare risposta uscì dal bar con un mezzo sorriso: non aveva trovato nuovi indizi, ma si era levato una piccola soddisfazione.

Non avrebbe permesso che i narcotrafficanti avessero la meglio.

Il giorno dopo, Esposito iniziò le indagini. Cercò dei testimoni, ma pareva che nessuno avesse visto o sentito nulla. Controllò le telecamere di sorveglianza, ma stranamente quella sera quelle della zona risultavano tutte fuori servizio: non fornirono alcuna informazione utile.

L’ispettore era frustrato. Non riusciva a trovare un indizio che lo portasse da qualche parte. Le ombre della sera stavano rendendo il porto ancora più cupo quando Esposito notò quell'uomo che lo osservava da lontano. L'uomo era alto e magro, con i capelli grigi, la barba incolta, lo sguardo cattivo e gli occhi arrossati. Un lupo che puntava la sua preda. Non appena si rese conto che l'ispettore lo fissava, con un ghigno folle dipinto sul volto iniziò a camminare velocemente verso la lanterna. Esposito lo riconobbe: era uno di quei bastardi che avevano cercato di farlo fuori, alla stazione di Napoli. Ordinò ai due sottoposti presenti sulla scena di seguirlo, ma quelli non si mossero.

"Mi scusi, ispettò, Tengo una famiglia da cui tornà", ammise uno dei due in dialetto napoletano.

"Lasci stare, dottore. Belin, contro gente come questa rischia solo di perdere tempo, soldi e vita!".

Rodolfo sorrise, notando il particolare spaccato d'Italia che i due colleghi rappresentavano, poi rassegnato rispose: "Nessuno mi aspetta, di soldi ne ho pochi. Se non torno tra 30 minuti, chiamate i rinforzi e l'ambulanza."

Senza attendere risposta, iniziò a braccare quel maledetto lupo. Camminarono per un po' lungo i magazzini del porto merci, fino a una baracca abbandonata quasi al limite dell'area. L'uomo entrò nella baracca ed Esposito lo seguì con l'arma già carica.

Dentro la baracca, l'uomo lo aspettava con il fucile pronto a sparare. Appena l'ispettore varcò la soglia, sparò. Per fortuna, la dose che si era fatto poco prima gli aveva leggermente annebbiato la vista: mancò l'ispettore di un paio di centimetri. Esposito rispose al fuoco, centrando il pusher sulla spalla. In pochi secondi l'altro gettò il fucile e si trovò ammanettato a un vecchio tubo dell'acqua, lamentandosi. Il lupo non faceva più paura, adesso.

Esposito chiamò i rinforzi: aveva trovato la droga. Lì dentro chili di cocaina, eroina, fentanyl. Il tizio venne arrestato e portato in centrale. Il lupo si rifiutava di parlare, pretendeva di vederlo. Doveva recapitargli un messaggio, diceva.

Dopo ore e ore, visto che l'uomo ancora non parlava, Esposito cedette alla richiesta ed entrò nell'aula interrogatori.

"Dovevo ammazzarti, ora uccideranno me".

"Ti proteggeremo, se necessario. Per chi gestivi il traffico di fentanyl in porto?"

"Scappa. Ti troveranno. E ti tortureranno come un cane. Ti inietteranno quella roba fino ad ammazzarti di droga. Scappa, sei un topolino". Poi lo guardò cattivo, sghignazzando.

"Chi ti manda? Chi c***o sono?" urlò Esposito, sbattendo le mani sul tavolo in acciaio.

Ridendo follemente, il lupo strinse i denti e masticò una fialetta di veleno incastrata in mezzo ai denti. Prima che chiunque potesse intervenire, era già morto.

Esposito era deluso. Aveva trovato il colpevole e chiuso un caso, almeno per ora il porto di Genova sarebbe stato presidiato. Ma sapeva che la guerra era appena cominciata: quella era solo una battaglia, peraltro manco vinta così bene. Ci sarebbero stati altri omicidi, altri morti.

Aveva senso continuare, anche a rischio della sua vita? Esposito era testardo. Aveva deciso di continuare la sua lotta. Non avrebbe permesso che quella droga di merda distruggesse la sua e altre città.



-Silvia F.-

Ti è piaciuto il mio racconto? Puoi sostenermi cliccando qui: ko-fi.com/silviaf711


53 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page