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Immagine del redattoreIlle

Limbo tra la Vita e la Morte

Aggiornamento: 30 gen


Non so nemmeno da quanto tempo ormai sono in questo stato vegetativo. Ho perso il conto. Mi trovo in questo limbo dal giorno dell’incidente.

Riesco a sentire tutto ciò che succede intorno a me.

Le infermiere quando controllano i miei valori vitali, i miei genitori quando vengono a vedere come sto, mio fratello quando irrompe nella mia stanza dicendomi “E allora sorellina, ti vuoi svegliare? Non pensi di aver dormito già abbastanza?” e Luca.

Lo sento quando mi racconta la sua giornata, quando mi legge le notizie del giorno, o qualche gossip sentito alla radio. Lo sento quando, si siede vicino al mio letto, e mi legge le sue poesie. Così tormentate ultimamente. E, anche se cerca di non farsi sentire, lo sento quando la sera, si siede accanto al mio letto, poggia la sua testa vicino al mio corpo e inizia a piangere. E mi fa così male non potergli stringere la mano e rassicurarlo. In fin dei conti io sto bene. O almeno, mi sento bene.

E’ uno stato strano quello in cui mi trovo. Non ho dolori fisici, non ho male, percepisco tutto, i rumori, le persone, ma ho gli occhi chiusi e sono attaccata a delle macchine.

Da quello che ho sentito ultimamente la mia situazione è stabile, non ci sono peggioramenti, ma nemmeno segnali che fanno capire ad un miglioramento o ad un risveglio. I dottori continuano a ribadire alla mia famiglia quanto è importante parlarmi, farmi sentire il loro amore, la loro presenza, che tutto ciò può aiutarmi, anche se in piccolissima parte. E nel frattempo io sono qua. In questo limbo tormentato tra la vita e la morte. E non so bene quanto ancora ci devo rimanere.


Era il 27 gennaio quando ho avuto l’incidente. Non ricordo molto di quella sera. Uscì tardi dal negozio perché avevo una scadenza per una consegna: dovevo finire 20 centrotavola con rispettivo bouquet e arco di fiori per un matrimonio entro il giorno dopo.

C’era nebbia, e il freddo era pungente, ci misi un attimo a far partire la mia vecchia pandina, e per vederci qualcosa, dovetti passare il solito panno sul vetro.

Sono anni che Luca mi rimprovera, dice che quella macchina è vecchia, e che sarebbe il caso di cambiarla, ma io ci sono molto affezionata. E oltretutto a livello di motore, è ancora una ragazzina. Ma forse, col senno di poi, direi che aveva ragione lui. Forse era il caso di cambiarla.

Uscì dalla stradina e imboccai il corso principale. Il semaforo dopo qualche istante divenne verde, partì…e l’unica cosa che ricordo, sono i fari di quel camion puntarmi nella fiancata. E subito dopo, il boato. Persi i sensi in quell’istante. Mi svegliai, o almeno ho creduto di farlo, in ambulanza. Sentivo quattro persone intorno a me. Io percepì solo tanto freddo, ed ero spaventatissima. Arrivammo in ospedale e mi portarono subito in sala operatoria. Fu lì che capì che non ero sveglia: per gli altri io ero svenuta, o addirittura morente, eppure io ero li.


Durante il mio intervento, ho sentito tutto quello che i dottori dicevano, i vari strumenti utilizzati e l’esito dell’intervento: “paziente con organi vitali salvati, ma in coma vegetativo”.

E, in quel momento, credo di essere morta davvero. Ho iniziato a piangere, a disperarmi, a provare ad urlare. Ma era tutto inutile. Nessuno mi sentiva. Nessuno si accorgeva che io c’ero. Ero in mezzo a loro, ma completamente invisibile agli occhi di tutti.

Ho sentito l’esatto momento in cui mia madre ha iniziato a singhiozzare un attimo dopo che il dottore gli ha comunicato del mio stato. Ho percepito il baratro in Luca si è ritrovato appresa questa notizia. La paura, la tristezza l’angoscia delle persone che mi amano si sentiva nell’aria della mia stanza talmente erano intense.


Qualche giorno dopo, anche se non so quantificare quanti, sentì dai miei genitori che il tizio che guidava il camion era stato arrestato. Si trattava di un cittadino italiano, di circa 50 anni, disperato per aver perso lavoro e famiglia, e voleva mettere fine alla sua vita. Peccato che non sia andata proprio così, ma che probabilmente è la mia la vita che finirà.

In quel momento, non riuscì nemmeno ad essere arrabbiata con questo uomo, anzi. Cercai di capire quanto dolore si possa provare per arrivare a decidere che non vale più la pena vivere, e che è meglio pensare di morire. E mi fece tantissima pena.

La mia famiglia, ovviamente, non era della mia stessa opinione. Ma non posso biasimarli.


La sera della notizia dell’arresto, Luca mi lesse una poesia, che mi disse aver scritto proprio quel giorno. Era struggente. Una poesia carica di amore, ma anche di sofferenza e paura. Luca aveva paura che io non mi sarei più risvegliata. E in quelle righe che mi lesse, era chiarissimo il suo terrore.


Luca l’ho conosciuto ad una esposizione di quadri di una mia cara amica. Lui aveva letto la locandina in un bar a qualche isolato dalla galleria, ed essendo amante dell’arte, decise di venire.

Il nostro fu il classico colpo di fulmine.

Ci ritrovammo ad ammirare lo stesso quadro, in un silenzio religioso, quando ad un tratto lui si voltò e mi chiese cosa ne pensavo. Iniziai con la mia recensione, elogiando il quadro quasi in maniera eccessiva, un po' per scherzare un po' perché il soggetto di quel dipinto ero io.

Lui aggiunse semplicemente: “Sei bellissima su una tela, ma dal vivo lo sei ancora di più”. Non ho mai capito come fece a capire che la donna nel dipinto fossi io, considerando che non si vedeva il viso.


Da lì a 5 mesi decidemmo di andare a convivere, ben consapevoli che era decisamente prematuro. Ma, era ciò che volevamo, era ciò che ci faceva stare bene: la vita insieme all’altro.

Qualche anno dopo, abbiamo scoperto che era quasi impossibile per noi, diventare genitori. Non per qualche patologia particolare, ma semplicemente perché i nostri geni non collaboravano molto. A quella notizia, il nostro rapporto si fece ancora più solido. Nonostante ne avessimo patito entrambi, quel periodo ci unì e fortificò ancora di più. Decidemmo che avremmo continuato a provarci, e se fosse successo, sarebbe stata una gioia in più. Ma nel frattempo, andammo al canile, dove adottammo Thor, un meticcio di 10 kg, che era finito in quel posto all’età di un anno, per un capriccio di un bambino.

Ormai sono 5 anni che Thor fa parte della nostra vita. E al momento è rimasto figlio unico.

Ma la vita in due, a noi piace molto. Appena c’è la possibilità viaggiamo. Ci piace conoscere posti nuovi, persone nuove e nuove culture. Luca è uno scrittore di romanzi gialli, il suo lavoro gli permette molta flessibilità di orario. Ed io avendo il negozio di fiori, riesco abbastanza a gestirmi le chiusure.

Mi sono innamorata di Luca perché è un uomo buono, perché sa essere presente, senza esagerare, sa essere un ottimo amico, mi sa ascoltare e ha saputo darmi supporto quando ho attraversato dei momenti bui. È la mia roccia. Ha sempre il sorriso stampato sulle labbra, è sempre di buon umore, ama la vita e trasmette a chiunque questa sua allegria. Le nostre litigate si possono contare sulle dita di una mano, e decisamente tutte per motivi futili. Abbiamo una sintonia e un’intesa che non ho mai avuto con nessun altro uomo. So che lui è la mia parte mancante della mela. So per certo che lui è il “mio”. E il pensiero che io non possa più abbracciarlo o sentire l’odore della sua pelle, mi devasta.

Da quando sono in questo stato, mi chiedo spesso il perché o il chi abbia deciso che è giusto che io stia in questo limbo.

Non capisco che senso abbia che io sia qui ma non ci sia. È una punizione? Un avvertimento? Questi pensieri, queste domande mi stanno tormentando. Ma la cosa che mi sta emotivamente uccidendo, è la mia impotenza davanti a questa situazione. Non posso fare nulla se non aspettare. Aspettare o di morire o di svegliarmi da questo finto sonno.


***


Deve essere passato molto tempo, credo mesi, da quando mi trovo in questo letto.

Qualche settimana fa il dottore ha parlato con i miei genitori e Luca dicendo che bisogna iniziare a valutare altre strade, perché la situazione sembra non migliorare.

Ovviamente ho pianto. In silenzio. Avrei voluto urlare. Ma nessuno mi avrebbe sentita.

Così qualche ora dopo, ho provato a muovere la mano destra quando Luca si è avvicinato al mio letto. E ci sono riuscita. Ho sentito un urlo di mia madre che diceva “Luca guarda! Guarda la sua mano!”

Luca si è fiondato vicino al mio viso, sentivo il suo respiro addosso, e ha iniziato a chiamarmi “amore”, mi ripeteva “amore mi senti? Ci sei?”

Ma io non sono stata capace di fare altro.

Questo mio gesto, ha fatto sì che i miei genitori abbiamo comunicato al dottore di voler continuare ad aspettare, di lasciarmi attaccata alle macchine, che secondo loro, non tutto è perduto.

Ed è da quel momento, che ogni giorno provo a muovere una parte del mio corpo quando sento qualcuno nella stanza. A volte ci riesco, altre volte fallisco. Ma non percepisco più la disperazione nella mia famiglia, in Luca. Anzi. Sento di nuovo accesa la speranza in loro. Luca ha ricominciato a scrivere poesie felici, piene di attesa. E sono belle, bellissime. Mi emoziono ogni volta che le legge. Vorrei dirglielo. Ma non riesco ancora.


I dottori hanno consigliato alla mia famiglia, di parlare davanti a me, o con me, di farmi ascoltare la musica, o di leggermi qualcosa, come fa Luca con le sue poesie.

In questo momento sono tutti nella mia stanza, sento la voce di mio fratello che sta raccontando di una ragazza che ha conosciuto qualche settimana fa. Luca gli chiede quanti anni ha, cosa fa nella vita. Sento mio fratello rispondere “Bè non lo so… cioè… più o meno ha la mia età…e lavora sì, ma non ho capito bene cosa faccia. Però so che porta una 4° di reggiseno, che comunque è importante come cosa!” Sento Luca e mio padre che ridono, ed io penso “Che stupido

In quel momento tutti si azzittiscono. Curiosa di capire cosa sia successo, del perché io non senta più nessuno parlare, cerco di aprire gli occhi, come altre mille volte prima.

Ma questa volta ci riesco.

E li vedo tutti intorno a me che mi guardano con aria piena di meraviglia e sconvolti. Luca mi prende la mano e la bacia, sta piangendo. Mi guarda e mi dice “Si è vero amore, tuo fratello è proprio stupido.”

Ed io inizio a piangere.

Sono tornata. Sono qui.

Finalmente sono uscita dal mio Limbo.



-Ille-


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