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Limbo: la fine?

Aggiornamento: 12 lug 2023

Perennemente catapultata in un mondo dove altri decidevano per lei l’universo in cui doveva lottare, solo il suo istinto di sopravvivenza le permetteva di uscirne ogni volta vittoriosa.

In ogni incubo scopriva un lato diverso della sua capacità di resistenza, un grammo in più di forza mentale che lasciava attoniti i suoi aguzzini e le dava la speranza di scappare, nonostante tutto.


La sua resilienza era talmente forte da fare sì che rimanesse l’ultima paziente ancora in grado di testimoniare contro i suoi medici: una notevole seccatura, quando finalmente venne scoperto il centro di ricerca illegale e il suo aguzzino fu costretto a fuggire.

Palmer non poteva certo lasciare che quell’ ostinata ragazzina tornasse lucida e raccontasse quanto aveva subito. Per la scienza, certo.

Il mondo, tuttavia, non l’avrebbe compreso: avrebbe solo visto un pazzo torturatore di giovani donne con l’unico proposito di portarle alla follia.

Guardò la ragazza. Isabel, o qualcosa di simile. Estrasse la semiautomatica che aveva nella tasca del giubbotto.

La osservò.

Lei dormiva, per una volta non a causa di un sogno indotto.

I lunghi capelli castano ramati le ricadevano sulle spalle, muovendosi al suo respiro. Era un sonno sereno. In un’altra vita sarebbe stata bellissima, probabilmente si sarebbe innamorato di lei.

“… Muori.” Un colpo secco, proprio in fronte. Poi girò l’arma contro di lui.

Un secondo colpo, e di quell’incubo restavano solo due cadaveri, uno che placidamente addormentato e l’altro eternamente accasciato al suo fianco.

Nessuno aveva vinto, alla fine.

Isabel si svegliò con la strana sensazione che il corpo non fosse più suo, che in qualche modo la sua consistenza fosse immateriale.

Provò ad alzarsi in piedi, ma scoprì di non sentire le gambe.

Era sdraiata su un prato scozzese, avvolta in una nebbiolina piuttosto fitta.

“Palmer questa volta si è impegnato parecchio” Pensò.

A fatica si puntellò le braccia e scoprì di essere davvero su un prato pieno di gente che… Fluttuava?


“Ah, finalmente ti sei svegliata!” Esclamò all’improvviso una voce accanto a lei. “Non avere fretta di tirarti su: alla morte ci si deve abituare! Ti alzerai quando desidererai davvero farlo. Funziona così.”

Isabel si girò verso la voce. Una ragazza con i capelli scuri raccolti “alla greca” la osservava seduta vicino a lei. Pareva amichevole, ma c’era da fidarsi?

Ci provò. Desiderò sedersi con tutta se stessa. Immediatamente si trovò sistemata sul prato.

“Molto bene. Socrate ci ha impiegato tre giorni a rendersi conto di sapersi sedere!E forse ancora non è sicuro di saperlo…” Affermò la giovane, trattenendo a stento una risata.

“Ti ho sentita, Antigone!” Una voce protestò nella nebbia mentre un sandalo sfiorava la testa dell’anima.


“Socrate? Ma tu… Tu chi sei? Dove… Dove siamo?” Chiese Isabel, sempre più confusa. “E’ un ennesimo incubo? Voglio andarmene!”

“Calma, ragazza! Quante domande. Prima di tutto… Mi chiamano Antigone. Ti trovi nel Limbo. Sei morta. Non conviene andartene, a meno che… Va beh, te lo spiego dopo! Tu sai che sei morta, vero?” Domandò Antigone stavolta guardando Isabel dritta in faccia.

“M… Morta? Ma… No! Io non… Dovrei essere qui! Come… Come si esce dalla morte?”

“In effetti è strano che tu sia qui. Era un po’ che non si vedevano facce nuove. Più o meno dal 1300. Virgilio, è roba tua?”

Si avvicinò un’ombra con una corona d’alloro, una veste rossa e l’aria saccente. La guardò dall’alto in basso, con una leggera aria di compatimento.

“Direi proprio di no. Guardala. E’ morta. E’ contemporanea. Non parla latino. E poi nessuno mi ha avvisato. Portala dal Matematico: lui saprà cosa farne!” E si allontanò velocemente, riunendosi al gruppo di anime che conversava poco lontano.

Antigone si alzò dal prato, sospirando come un’adolescente rassegnata a dover far fare il tour della scuola alla nuova studentessa.

“A quanto pare tocca a me. Dai, muoviti.Ti porto… A fare un giro!”

Isabel, pur non fidandosi ancora di quella strana ragazza, si rese conto di non avere alternativa, e con tutta la forza di volontà provò a sollevarsi. Scoprì che non solo stava in piedi, ma era addirittura già in grado di fluttuare.

In un battito di ciglia procedeva accanto ad Antigone.

Lei, intanto, continuava a fare domande. Era un po’ che non aveva occasione di parlare con qualche suo coetaneo, e non voleva perdere nemmeno un minuto.

“Quanti anni hai? Che anno era, sulla Terra? Perchè non sei battezzata? Ti ricordi come sei morta?”

Isabel si sforzava di rispondere a tutte le domande che riusciva a captare, un po’ ascoltando la sua guida, un po’ guardandosi intorno.

Dante aveva ragione: il limbo era uno stuolo di anime intente a conversare eternamente. Era tutti un po’ tristi, un po’... Opachi. Come se mancasse loro qualcosa.


“Avevo 18 anni, credo. Era il… Non me lo ricordo. Mi hanno… Sparato. O forse… Non lo so. Mi hanno abbandonata da piccola e nessuno ha mai pensato che fosse necessario battezzarmi.”

“Una bella sfortuna. Con il battesimo finivi dritta dritta nei piani alti. Gioia e Gaudio per l’eternità!”

“Non ho mai avuto molta fortuna!” Esclamò Isabel con un sospiro. Ricordava solo tutto il dolore subito.

Poi si guardò intorno. Erano arrivate a un’immensa struttura con un tunnel al centro: la nebbia vi si incanalava e formava una cascata che pareva priva di inizio e fine. Accanto al tunnel, un vecchio signore dalla lunga barba riccioluta osservava le anime che si avvicinavano e poneva a tutti la medesima domanda: “Chi sei, tu?”

Coloro che non rispondevano finivano nel tunnel, rassegnate. All’oblio eterno?


Isabel guardò Antigone, che improvvisamente si era fatta seria e silenziosa.

“Cosa… Cosa significa questo?” Domandò Isabel allarmata. Sapeva di non doversi fidare.

“Sì, ecco… Non tutti possono restare nel limbo. E’ sovraffollato. Così periodicamente passiamo qui, nel castello di Pitagora. Lui fa i calcoli. Chi non ricorda più chi è viene lanciato giù, per farsi un’altra vita.”

“Reincarnazione?”

“Una specie…” Intanto si erano messe in una lunga fila fluttuante, che procedeva verso il Matematico. .

“Ma… Io non so chi sono. Se non so chi sono, come faccio a ricordare?”

“In quel caso…Beh, diventi nebbia! Ti dissolvi. Non è piacevole, mi dispiace, ma dura solo un attimo.”

Isabel a quel punto era terrorizzata.

Arrivò il loro turno.

Pitagora chiese ad Antigone: “E tu, chi sei?”

“Sono Antigone, figlia di Edipo, sorella di Eteocle e Polinice. Principessa di Tebe. Oggi guida nel Limbo.”

Pitagora sorrise alla giovane: “Non perderai mai la tua essenza, tu! Procedi.”

La cascata si chiuse per un momento, e Antigone passò indenne dall’altra parte del prato. Apparteneva al Limbo, ancora una volta.

Isabel guardò Pitagora dritto negli occhi, e vide l’infinito. La libertà. Forse una seconda occasione?

“Chi sei, tu?”

“Isabel. Solo Isabel.”

Pitagora rimase stupito da quell’anima che non sapeva chi era. Un’anima nuova, senza battesimo. Originale. Non ricordava nulla, a parte il dolore subito. Non poteva certo restare lì.

“Cosa vuoi?”

“La libertà.” Rispose lei d'istinto.

Pitagora la spinse, e Isabel pensò che fosse finita.

Si stava dissolvendo nell’oblio.

Si lasciò cadere. Rassegnata, sconfitta.

Ma poi… Un alito di vento la sospinse verso il cielo, e fece rizzare le penne delle sue ali spiegate. Si guardò intorno.

Veleggiava sopra un fiume limpido, il sole scaldava il suo volo lungo il fianco della montagna. Era estate.

Un collo lungo, zampe da trampoliere.Becco adatto a fare scorta di trote.

Una seconda occasione, sotto forma di airone bianco.

Forse non quella che si aspettava, ma certamente quella che apprezzava di più.


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PS: Se vuoi leggere i capitoli precedenti della storia di Isabel, cercali tra i vagabondaggi per Torino!


-Silvia-




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