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La Guerra che unisce



“Oh tesoro, il nonno era un uomo con un portamento e un’eleganza di altri tempi”

“Come la nonna!”

“Si amore, erano fatti l’uno per l’altra, sotto ogni aspetto”


Era una mattina di fine ottobre il sole era alto ma molto timido. L’aria autunnale era pungente. Ma nonostante tutto, si percepiva una strana atmosfera, come se lei fosse ancora qua. Viva e piena di energia come è sempre stata. Indossava il suo abito preferito, quello che comprammo insieme una mattina di primavera: “Questo è quello che vorrò indossare quando non ci sarò più, è perfetto. Sai come mi risalterebbe il punto vita? E per favore, mettimi un po' di ombretto color oro, che mette in risalto la mia carnagione”

“Mamma ma sono cose da dire? Eddai, non fare questi discorsi.”

“Amanda che ti piaccia o no, arriverà quel giorno, e vorrei che tu fossi preparata a cosa fare”

Quel giorno era arrivato più in fretta di quel che avrei pensato. L’unica cosa che mi rincuorava leggermente, era il pensiero che ora erano di nuovo insieme.


La casa e il giardino era gremito, vedendo qua e là qualche viso conosciuto, ma ad essere sincera cercavo di non incrociare lo sguardo di nessuno. Ero devastata.


Avessi potuto, mi sarei rinchiusa nella sua camera da letto, sotto le coperte a cercare di sentire ancora il suo odore sui cuscini.

Così come avevo fatto in altre mille occasioni: quando era mancato mio padre, quando avevo perso il primo lavoro, alla prima delusione amorosa, quando avevo dovuto interrompere una gravidanza, quando avevo chiesto la separazione da quello che sarebbe diventato il mio ex marito. Ogni momento della mia vita in cui stavo per mollare, mi sono rifugiata sotto a quelle coperte, versato tante, tantissime lacrime, fino a quando mia madre non si sdraiava affianco a me, e iniziava ad accarezzarmi la testa. A volte in silenzio, a volte dandomi consigli, o a volte per cercare di farmi parlare. Mi alzavo da quel letto con gli stessi problemi di quando mi ero sdraiata, ma lei mi dava una forza di tirarmi su immensa.


E ora mamma, chi mi darà la forza per tirarmi su da questo dolore?

Quanto ti vorrei qui vicino a me.


Il funerale decisi di svolgerlo nella tenuta fuori città dei miei genitori, a San Gimignano. Dove avevano passato gran parte della loro vita e dove si erano spenti entrambi.

Mi aveva lasciato tutte le indicazioni di come doveva svolgersi. Solo il luogo (ma forse perché era abbastanza scura di cosa avessi deciso) lasciò libero.

Era sempre stata una maniaca del controllo, e questa ne era la dimostrazione.


Buongiorno a tutti. E grazie per essere qua, con me e la mia famiglia a condividere questa giornata. Mia madre sarebbe molto contenta di vedervi qua e quasi me la immagino a passare da ognuno di voi per fare gli onori di casa e scambiare due parole come le piaceva fare. Ed è da qui che voglio iniziare. Voglio parlarvi di mia madre e di mio padre, visto che ora sono, finalmente, di nuovo insieme.

Mia madre è nata a Firenze, da genitori molto umili, seconda figlia di 10 fratelli. Potete immaginare la vita frenetica che ha avuto fin da giovane, dovendosi occupare molto presto dei suoi fratelli minori. Sarà per quello che poi è stata un’ottima madre. Era portata per la dolcezza, la presenza, il prendersi cura degli altri. Era una donna raggiante. Mio padre le diceva sempre che dove arrivava lei, portava il sole, illuminando tutti quelli che la circondavano. Mia madre era una donna di altri tempi, elegante e sempre in ordine. Non l’ho mai vista un solo giorno senza rossetto sulle labbra. Amava la vita, anche quando era dolorosa. Amava i colori, la natura e la musica classica. E ogni dettaglio intorno a voi, ricorda lei. C’è lei in ogni girasole che vedete, in ogni nastro oro decorativo, in ogni singola nota che passa come sottofondo a queste mie parole. Questa casa ha la sua anima, ne sono sicura.


Mia madre, ai tempi della seconda guerra mondiale, era poco più che maggiorenne, e aveva studiato per fare l’infermiera. Mentre mio nonno era un partigiano che cercava, nel suo piccolo, di liberare la nostra Italia. E fu cosi, che la notte tra il 4 e il 5 agosto, le loro vite si intrecciarono.

Mio padre rimase coinvolto durante un’esplosione di un palazzo che venne fatto saltare per evitare gli accessi al ponte. Mia madre mi ha raccontato questa storia un migliaio di volte. Quella notte nel centro medico, erano decine tra soldati e partigiani colpiti, tra cui lui. Mio padre. Fu una nottata molto impegnativa e caotica, dove erano tutti impegnati a cercare di salvare più vite possibili.

Mia madre ricorda, o meglio ricordava quella notte dettaglio per dettaglio, attimo per attimo. Raccontava di sentire gente che urlava dal dolore, i dottori che correvano da una parte all’altra cercando di fare il possibile per aiutare tutti, c’era tanta confusione, ma anche tanta paura. Era tangibile ad occhi chiusi.

Quella era la prima e vera esperienza che mia madre aveva con feriti importanti. Fino ad allora si era sempre occupata di qualche iniezione, qualche piccola febbriciattola o qualche infezione di poco conto. Si sentiva spaesata, e molto spaventata. Ma sapeva che non era il momento per esserlo. Senza pensarci due volte, si avvicinò di tutta fretta ad una barella, per iniziare ad aiutare. Quel uomo era messo male. La gamba destra danneggiata, un braccio forse rotto, delle ferite sul torace e una ferita decisamente molto importante sul viso. Non era conoscente, ma il battito c’èra. Perciò si mise all’opera. Passo praticamente tutta la notte riversa su quel uomo. Cucì, disinfettò, pulì e cercò di farlo svegliare. Ma senza riuscirci. Così si spostò su un'altra barella, e andò avanti, come tutte le altre infermiere e i dottori, per almeno 24 ore senza fermarsi. Erano stremati, ma, quella notte, non ci fu nessun fallimento. Erano riusciti a salvare tutti.

Mia madre, da quel giorno, si recò per i successivi 30 giorni nei tendoni, per vedere come le persone da lei curate, e non solo, si rimettevano e a mano a mano, lasciavo le barelle per tornare alla loro vita.

Passavano i giorni, ed uno ad uno, andarono via. Tranne quel signore. Quello a cui aveva dovuto asportare un pezzo di coscia per evitare di amputare tutta la gamba. Quello lì, come lo definiva lei, non si era ancora svegliato. Il battito continuava ad essere regolare, ma non sembrava avesse intenzione di svegliarsi. E, tra l’altro, sembrava figlio di nessuno, visto che non si era presentato nessuno per reclamarlo.

Mia madre avevamo preso l’abitudine di passare i pomeriggi vicino a questo uomo, parlandogli, mentre lo puliva, o gli sistemava il lenzuolo. Parlava come se lui da un momento all’altro potesse risponderle.

Arrivò persino ad immaginarsi il colore degli occhi.

Ma finalmente un pomeriggio, entrando nel tendone, un’altra infermiera l’avvertì che “quello lì” si era finalmente svegliato. Quando mia madre arrivò vicino alla barella, trovò un uomo comodamente adagiato sul lettino che stava mangiando della frutta. Per usare esattamente la terminologia che usò da mia madre, le parve di vedere un uomo “fresco e tosto” come se non avesse avuto nulla.

Si presentarono così.

“Lei è l’infermiera che si è presa cura di me per tutto questo tempo? Io sono Dante”

“Si sono io…. Sono Beatrice” e mia madre rimase sconvolta dagli occhi verde smeraldo che aveva mio padre.

E.. cos’altro aggiungere? Il resto è storia.

Hanno dedicato la loro vita agli altri, ad aiutare le persone in difficoltà, a me, alle mie sorella, a questa casa, mettendoci sempre un amore infinito, vero, di quelli da favola.

Un amore che va oltre la fisicità, l’amore delle anime. Vivo ancora oggi, oggi che i loro corpi non sono più su questa terra.

E con questo voglio salutare mia madre, con la certezza che lei sarà sempre al mio fianco, che vivrà con me in ogni singolo gesto. Ma sono felice, che si è riunita a mio padre, l’amore della sua vita.

Ciao ma, ciao pa. Amatevi di nuovo, finalmente.”


BEATRICE E DANTE

UN AMORE OLTRE CONFINE.

DA UNA GUERRA, PUO’ NASCERE

UN AMORE CHE DURA

UNA VITA, E DI PIU’.



-Ille-



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