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Immagine del redattoretre vagabonde tra le righe

Guardie e Fantasmi

L'edificio del carcere di Castiadas, in Sardegna, era vecchio e decrepito.

Costruito nel XIX secolo, da allora era stato utilizzato come luogo di detenzione per i criminali più pericolosi della Sardegna e non solo. Era circondato da mura alte e spesse, con torri di guardia in ogni angolo. Le porte erano di ferro massiccio, le finestre erano sbarrate.

Un luogo buio e inquietante, dove gli unici rumori erano il cigolio delle catene e le urla dei detenuti. L'aria era irrespirabile, l'odore nauseabondo di sudore e urina permeava tutti gli ambienti.

Giovanni aveva preso servizio proprio quel giorno. Dopo l’esperienza presso il carcere minorile di Torino, sperava che la permanenza in Sardegna gli aprisse le porte per un avanzamento di grado. Tra i suoi colleghi non erano in molti ad essere laureati, quelli poi che avevano scelto chimica forense erano ancora meno. Giovanni sperava che l’esperienza a stretto contatto con i criminali, i titoli e l’attitudine scientifica gli avrebbero aperto la strada verso una carriera nei RIS di Parma. Era solo per quello che aveva accettato il trasferimento in quel posto angusto, sofferente e isolato.

Salutò il secondino all’ingresso, si presentò amichevolmente a un paio di colleghi e si preparò per la sua prima notte di guardia.

Mentre compieva il suo giro di ronda, sentì un rumore provenire da una delle celle. Si avvicinò e guardò attraverso la fessura della porta. Notò un detenuto seduto sul suo letto, con la testa tra le mani, che piangeva.

Giovanni bussò alla porta della cella.

"Che c'è?" chiese l'uomo tra le lacrime.

"Stai bene?" domandò la guardia.

"No" rispose il detenuto. "Ho paura."

"Di cosa hai paura?"

"Ho paura dei fantasmi." replicò ancora l'uomo.

Giovanni sorrise.

"Non esistono i fantasmi" affermò gentilmente. "Sono solo le tue paure."

"Non sono le mie paure!" ribadì il carcerato. "Ho visto i fantasmi."

"Avrai fatto un incubo" proseguì Giovanni, questa volta con un tono leggermente più fermo.

"Li ho visti!" reagì disperato il detenuto. "Li ho visti nelle celle di notte. Li ho visti nei corridoi. Li ho visti nella sala mensa."

Giovanni scosse la testa, perplesso. Si voltò e se ne andò.

Quella notte, terminato il giro, Giovanni non riuscì a dormire. Pensava a quell'uomo. Si chiedeva se ci fossero davvero dei fantasmi nel carcere, pur sapendo quanto questo pensiero risultasse folle.

La mattina dopo, Giovanni si recò dal direttore del carcere.

"Ho bisogno di parlare con lei della notte scorsa" gli disse.

"Di cosa vuole parlare?" chiese il direttore.

"Voglio parlare dei fantasmi" continuò.

Il direttore sorrise.

"Non ci sono fantasmi, qui. I detenuti fanno spesso brutti sogni. Non si lasci suggestionare!" suggerì.

"Io ho visto i fantasmi!" affermò Giovanni.

"Ma no, li ha solo sognati. Colpa dei rumori sinistri di questa struttura vecchia e fatiscente: sono anni che faccio richiesta di fondi per la ristrutturazione, ma… Il benessere degli ergastolani non è mai tra le priorità!" concluse il direttore.

"Li ho visti!" ribadì il poliziotto, pur rendendosi conto di quanto quest’ affermazione fosse ridicola. "Li ho visti nelle celle di notte. Li ho visti nei corridoi. Li ho visti nella sala mensa."

Il direttore lo congedò spazientito, suggerendogli un consulto con lo psicologo del carcere. Poi lo salutò, si voltò e se ne andò.

Giovanni non riuscì a convincere il direttore. Consultò lo psicologo come lui gli aveva suggerito. Sperava che la terapia risolvesse i suoi incubi, invece iniziò a vedere i fantasmi anche durante il turno di ronda, quando era perfettamente sveglio.

__________________

Un giorno, decise di affrontarli. Entrò nella cella del detenuto che per primo gliene aveva parlato, lo mandò in cortile per l’ora d’aria e, una volta rimasto solo, urlò:

"Non ho paura di voi!"

I fantasmi non si fecero sentire.

"Non ho paura di voi!" gridò di nuovo. "Voglio sapere cosa volete."

I fantasmi non si fecero sentire.

Giovanni si avvicinò alla finestra sbarrata della cella e guardò fuori. Vide un gruppo di carcerati che stavano giocando a palla nel cortile.

"Voglio sapere cosa volete" disse, questa volta con un tono più conciliante. "Voglio sapere perché siete qui."

I detenuti non lo sentivano, o semplicemente lo ignoravano.

Giovanni guardò di nuovo fuori dalla finestra. Il gruppo dei giocatori era scomparso. Al suo posto, notò l'uomo che aveva conosciuto la prima notte. Stava seduto su una panchina, solo. Lo fissava.

"Voglio sapere cosa vuoi" chiese Giovanni.

Il detenuto si alzò e gli si avvicinò. Quando rientrò in cella passando dal muro, Giovanni ebbe la certezza di non stare parlando con un vivente.

"Voglio andare a casa" gli confidò.

Giovanni sorrise: ora sapeva come liberarsi dei fantasmi.

"Vai a casa, hai scontato la tua pena" asserì con tono sicuro.

Il detenuto svanì, finalmente sorridendo.

Giovanni guardò di nuovo fuori dalla finestra. Il cortile era vuoto.

Si voltò, uscì dalla cella e cercò i detenuti e i colleghi nei vari reparti. Erano tutti scomparsi: Giovanni era solo, e le porte di ferro massiccio parevano sbarrate da molto tempo.

Il panico lo assalì: iniziò a cercare disperatamente una via d’uscita.

Mentre correva disperatamente da un corridoio all’altro, notò finalmente che nell’ufficio del direttore la finestra non era sbarrata.

Si stava già scagliando contro il vetro per mandarlo in frantumi e scappare, quando… Qualcosa lo scosse energicamente, impedendogli di raggiungere la meta agognata.

_________________

“Ani, svegliati!” gli gridò una voce nell’orecchio, mentre apriva improvvisamente gli occhi. “Naal è tornato. Ha portato qualcuno!”

Ani si sedette sul giaciglio che utilizzava per riposare, indugiando ancora un momento su quello strano sogno. Poi si riscosse, bevve un po’ della brodaglia nera che conservava in una borraccia, afferrò un coltellaccio da difesa e uscì dal rifugio, per andare incontro ai nuovi arrivati.



Silvia F.


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