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Cella 2093

Immagine del redattore: SilviaSilvia

Una nebbiolina grigia avvolge Parma, pallido ricordo desolante del tempo che fu.

Dove una volta il chiacchiericcio un po’ snob si mescolava alle note eterne di Verdi, ora si percepisce un silenzioso deserto. I palazzi, in passato orgogliosi simboli di una città che sapeva accogliere e far sorridere anche il più restio dei pellegrini, resistono per miracolo alle intemperie di un mondo avvelenato. Sempre più fatiscenti, paiono zombie malandati. Cosa si può ingurgitare in mezzo a un deserto? L'aria, irrespirabile, ha reso pressoché introvabili le ultime, vane tracce di vita.

Situazione comune in tutta Europa: come molte altre città, anche Parma è stata devastata dalla guerra batteriologica e chimica che ha ucciso milioni di persone e ha reso il pianeta un luogo inospitale. Le poche persone rimaste vivono in piccole comunità isolate, costantemente in lotta per la sopravvivenza. Fame, Malattia Violenza sono all'ordine del giorno.

La comunità superstite più vicina alla città è quella di Cella di Noceto, una frazione immersa nelle colline che, grazie alla posizione nascosta e alle coltivazioni locali, è riuscita in qualche modo a resistere contro la devastazione, accogliendo i pochi sopravvissuti anche dei paesi limitrofi.

Non sono in molti, ormai: i metodi di difesa contro i contagi delle varie malattie endemiche diffusesi durante la guerra, e quelli per il ricavo di risorse non contaminate presentano un’efficacia limitata, e l’atavica mancanza di risorse sta riducendo sempre più la natalità comunitaria. È assolutamente necessario introdurre nuove risorse umane o materiali, se non si vuole scomparire.

Con questi pensieri Grimlius osserva i suoi due figli: a causa della carenza di cibo e acqua, Athvi – la bambina più piccola – stenta a crescere e presenta evidenti difficoltà motorie. Il medico della comunità dice che per risolvere la situazione basterebbe darle più cibo e acqua. È una bambina piena di voglia di crescere, e lui non sa come aiutarla.


Un metodo ci sarebbe, ma Grimlius non riesce a giustificare la perdita di umanità che comporta.

Il Consiglio – di cui lui è leader – ha già più volte intimato di seguire l’esempio di altri villaggi: razziare le risorse rimanenti dalle comunità ancora più deboli della loro e non più in grado di difendersi, magari imprigionando i sani e sacrificando i malati. Un consigliere suggerisce addirittura di rapire le donne sane e uccidere tutti gli uomini. In questo modo si incrementerebbe anche il tasso di natalità nel villaggio. Non è chiaro se voglia le donne per sé o per il bene del villaggio, ma ciò non toglie la validità del suggerimento.


Dopo l’ultima assemblea si è preso una giornata per riflettere, e ora che si avvicina il tramonto, mentre con i figli passeggia lungo i filari degli ulivi, anche quest’anno in gran parte malati, sa che da lì a poco dovrà prendere una decisione.


“Papà” una voce gentile interrompe il suo rimuginare. “Quando mi porti quella cosa che mi hai promesso, il Par…Pargiano?” Chiede Athvi con gli occhi pieni di speranza. “Il medico ha detto che mangiandolo potrei camminare veloce come te!” Conclude sorridente, non sapendo quanto quella frase abbia un impatto decisivo per il destino del suo villaggio.


Grimlius fissa i grandi occhi chiari della bambina, uguali a quelli di sua madre, di cui ora percepisce lo sguardo proprio sulla nuca.

Prende in braccio la figlia, sente le gambe deboli eppure desiderose di correre.

Si volta, lui e sua moglie si guardano negli occhi.

Sa bene cosa le ha promesso, tempo prima.

La famiglia, il villaggio prima di tutto.

Solo così si sopravvive, solo così non si soccombe all’apocalisse che avanza.

Un cenno, ed è deciso.


Quella notte, all’assemblea si percepiscono numerosi sguardi soddisfatti e sospiri di sollievo: Grimlius approva sia l’attacco sia il ratto delle donne.

Farà tutto il necessario per garantire la sopravvivenza alla sua comunità.

Solo i pochi intellettuali si dissociano da questo piano violento, sostenendo che la via della collaborazione sia l’unica a garantire una seppur minima probabilità di ricostruzione futura.


“Mia figlia ha bisogno di cibo adesso, non in futuro” Replica il leader del Consiglio.

“Abbiamo bisogno di risorse e di nascituri adesso, non tra vent’anni!” Continua.

Poi, quando ci saremo nuovamente stabilizzati, potremo parlare di pace e ricostruzione. Ora dobbiamo sopravvivere”.


I saggi che non si arrendono a questa prospettiva sono i primi ad essere sacrificati, nella piazza delle riunioni.

Gli ulivi e gli alberi malati vengono abbattuti, e con essi vengono fabbricate armi di attacco e di difesa, in caso di eventuale attacco da altre comunità. Tutti coloro in grado di brandire un’arma vengono istruiti e arruolati, compreso Joken, il figlio maggiore di Grimlius, che peraltro si rivela un combattente eccezionale.

Viene scelta la comunità di Arduini, ormai allo stremo a causa di una malattia che ne sta decimando gli abitanti, ma ancora ricca di risorse alimentari e di donne, che stranamente si stanno ammalando meno degli uomini. Hanno sempre avuto rapporti di mutua collaborazione, anche se è evidente che senza braccia maschili quel villaggio è destinato alla scomparsa.

Bisogna solo accelerarne il processo, si dice Grimlius per giustificare quanto sta per compiere.


Al calar della notte, dopo aver lasciato un’efficace difesa a guardia dell’insediamento, partono per l’attacco.

Pochi chilometri, e la strage ha inizio.

Gli Arduini, pur non essendo per niente preparati a un’evenienza simile, si difendono strenuamente, e prima di arrendersi al nemico portano con sé numerosi combattenti cellesi.

Solo quando l’ultimo superstite Arduino viene sconfitto da un bastone avvelenato conficcato in pieno petto, l’ultima donna resa innocua, legata e pronta ad essere trascinata via, tutte le risorse alimentari caricate sui carri per trasportarle al villaggio che attende, Grimlius si guarda intorno, cercando suo figlio.


Lo trova steso al suolo, privo di vita.

Una lacrima gli riga il volto bagnato di sangue altrui. Un’ultima carezza prima di lasciare che la terra si riprenda il giovane corpo. Una preghiera, nella speranza che qualche dio dimenticato lo accolga.

Sa bene che, dopo quella notte, non è nella posizione di chiedere favori agli dei.

Ci prova lo stesso, domandando perdono.

Con il cuore pesante almeno quanto il bottino, i combattenti tornano al villaggio.

Giungono a casa all’alba.

Finalmente Grimlius può dare da mangiare a sua figlia Athvi.

Eppure, quando questa gli chiede del fratello, lui non ha la forza di rispondere, e si lascia andare a mille singhiozzi.

Sua moglie, appreso il destino di Joken, si chiude in un cupo silenzio denso di colpa e odio verso sé stessa, verso il fato e verso di lui, che non ha saputo proteggerlo.


Il germe della vendetta infetta lei e tutti coloro che quella notte hanno perso qualcuno.

Per altri, la vittoria è stata fin troppo semplice.

Ci prendono gusto.

Razzia dopo razzia, il villaggio diventa sempre più forte, crescendo di numero e risorse.


In breve tempo, la cattiveria e la violenza portano Cella a diventare dominante su tutto il territorio circostante.

Grimlius e i suoi, con la scusa della sopravvivenza, attaccano comunità in ricostruzione, divenendo un vero e proprio organismo di terrore.

Athvi cresce forte e sana, ma non riesce a dimenticare che la sua vita è ciò che ha scatenato tutta quella sofferenza.

Sa di doverli fermare, sa di poterlo fare solo lei.

Una notte, mentre i genitori sono impegnati nell’ennesima scorribanda, scappa dal villaggio e corre a perdifiato fino al villaggio di Grotta, dove è stanziata la comunità rivale più forte.

Dice loro la posizione esatta dell’esercito di Grimlius, elabora una strategia per attaccarli alle spalle.

Loro partono, armati di tutta la rabbia che la violenza gratuita può scatenare.

Grimlius e i suoi, presi di sorpresa, muoiono sul campo di battaglia.

I vendicatori, non contenti della sconfitta, distruggono il villaggio, ripagando gli abitanti con la stessa moneta riservata in precedenza alle altre comunità.


Violenza chiama Violenza, i saggi li avevano avvisati.


Athvi osserva da lontano quell' ennesima violenza gratuita, mentre il rimorso le brucia lo stomaco e lacrime bollenti ne infiammano le guance.

Non voleva nulla di tutto ciò: desiderava solo che la spirale di guerra e sangue si fermasse, che si potesse ripartire dalla pace.

Si sa, l'inferno è lastricato è lastricato di buone intenzioni.


Ora non ha più niente, a parte la sua stessa lotta per la sopravvivenza.

E dal niente deve ripartire.


- Silvia -



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