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Bisogna sapersi scegliere


Questa città ha un profumo ineguagliabile. Percepisci l’odore del mare, di cibo buono, di gente bella. Ero molto impaurita a fare questo passo. Avevo paura di sentirmi come un pesce fuor d’acqua, di non essere nel posto giusto.

Napoli è una città che si fa amare, che ti accoglie, ti nutre, ti protegge ma che ti fa capire cosa vuol dire vivere davvero. Napoli è viva, non dorme mai, ha sempre qualche meraviglia da mostrarti o qualche sorpresa da rivelarti.

Napoli è una donna consapevole delle sue potenzialità e dei suoi poteri. E sa perfettamente come usarli.


I primi tempi dopo il trasferimento non nego siano stati abbastanza duri. Facevo fatica ad ambientarmi, mi perdevo per la città con una facilità incredibile, ma, grazie anche alle colleghe dello studio dove lavoro, quel senso di smarrimento è durato ben poco.

E ora posso dire che questa è casa mia.

Ho affittato un appartamento vicino alla villa Comunale, e a lavoro ci vado in bici, essendo lo studio in via Chiaia. Sono in pieno centro. Esco di casa, faccio colazione al bar, seduta nel dehors salutando il mare, e le mie pause pranzo (quando riesco a farle) sono tra i vicoli del centro di Napoli. Vivo qua da quasi sei mesi, e devo ammettere che ci sono ancora mille posti che voglio vedere e luoghi che voglio visitare di questa città. E’ immensa.


Sono arrivata a Napoli a metà aprile, e nonostante fosse primavera, con gli alberi che fiorivano, un clima mite ma piacevole, io avevo una tristezza nel cuore che mi rendeva perennemente angosciata. Sono andata via da Roma, senza avvisare nessuno. Nè tantomeno senza salutare Riccardo. Che senso avrebbe avuto salutarlo? Dopo aver passato il natale senza di lui, perché doveva stare in famiglia, affianco ad una moglie che tanto non amava più da anni, mi è scattata la giusta molla per accettare questo lavoro.

Ho sperato fino all’ultimo che lui avesse il coraggio di lasciare andare ciò che non faceva più parte del suo disegno di vita. Ho sperato e aspettato che si rendesse conto che io non ci sarei stata in eterno. Non gli ho mai chiesto di lasciare la moglie. Mai. E mai mi sarei permessa di farlo. E non ho mai pensato di andare a raccontare alla moglie di noi. Avrei creato del panico per nulla. Era lui che doveva prendere coscienza della fine del suo matrimonio e avrebbe dovuto separarsi non per me, ma per lui. Non era più felice ormai. Viveva in un rapporto che andava avanti per abitudine. Ho provato a parlargliene un paio di volte, ma trattare l’argomento con me, lo agitava e lo innervosiva. D’altronde chi ero io per dirgli che stava sprecando la sua vita in un rapporto che non sarebbe mai più tornato quello di una volta e che non sarebbe più stato felice tra quelle mura?

Quando provai a dirgli che se io ero riuscita ad aprire quella porta, a farmi spazio nella sua vita e se lui era riuscito a intrufolarsi tra le mie lenzuola, era chiaro segnale che c’era qualcosa che non andava nel suo rapporto con la moglie, troncò subito il discorso dicendo che io non potevo capire situazioni del genere, perché non ero mai stata in un matrimonio o in una relazione così a lunga durata e quindi non avevo gli elementi necessari per poterlo comprendere. Da quel momento smisi di provare a parlare di ciò. E aspettai. Passò il suo compleanno, Natale, capodanno, il mio compleanno, San Valentino, e Pasqua. E in tutte queste ricorrenze, non c’è stata una volta che Riccardo sia stato con me. Per carità, non mi aspettavo la sua compagnia, ma sicuramente mi avrebbe fatto piacere. Ma occasione, dopo occasione, ho realizzato quanto non faceva per me ricoprire quel ruolo. Il ruolo dell’amante. Lo amavo. E proprio per questo avrei voluto averlo con me sempre, non solo nei giorni particolari. Avrei dovuto trasferirmi a Napoli verso febbraio, ma temporeggiai aspettando che le cose cambiassero.

Ricordo perfettamente il momento in cui decisi di partire senza dirgli nulla.

Era una sera di gennaio, avevamo cenato da me bevendo una bottiglia di bianco fermo ghiacciato che ci diede subito alla testa, eravamo euforici e felici di stare insieme. Facemmo l’amore per un tempo indefinito. A metà nottata, erano circa le 4 del mattino, lo sentì alzarsi dal letto, rivestirsi, darmi un bacio sulla fronte, mettersi le scarpe e chiudersi alle spalle la porta di casa mia. Mi girai nel letto. Lui non si era reso conto che mi ero svegliata e che avevo sentito tutto. Iniziai a piangere nel buio della mia camera. E in quel momento mi resi conto che stavo soffrendo. Che meritavo anche io di essere felice e se lui non voleva stare con me, non potevo obbligarlo. Così iniziai a preparare la mia dipartita da Roma silenziosamente.


Lui mi vedeva forte, mai un cenno di emotività, ma di notti e di pianti come quelli, ce ne erano stati molti altri. A lui però non dissi mai nulla. Ma, nonostante, fosse poco meno di un anno, lui mi era entrato dentro l’anima come nessun altro uomo aveva fatto. Ero convinta che lui fosse il Mio. Fosse l’uomo della mia vita, e prima di arrendermi all’evidenza, ci volle un po'. Pianti, bicchieri di vino bevuti in tarda notte per non pensare a lui, gite fuori città con le amiche pur di scacciarlo dalla mia testa. Non avrei voluto nient’altro che scegliesse me.

Ho fatto fatica a convincermi che lo avevo idealizzato troppo, che non era così speciale come credevo. Ho fatto fatica a metter da parte l’idea di una vita insieme, ho fatto fatica a pensare a lui solo come ad una bella ed intesa parentesi della mia vita. Ho fatto fatica a metterlo da parte e a partire senza guardarmi indietro e senza domandarmi se avessi fatto la scelta giusta.

Avevo fatto fatica, ma c’ero quasi riuscita del tutto. Quasi. Ed è proprio quel quasi che mi ha fatto mettere in crisi tutte le mie certezze quando, una sera, uscita dall’ufficio, mi sono trovata Riccardo sotto casa con un mazzo di girasoli.


Lo feci entrare in casa. E decisi di ascoltare ciò che aveva da dirmi.

Mi raccontò di essere andato a casa mia, di aver trovato il biglietto, la casa vuota e di come si fosse sentito in quel momento. Della decisione di tornare a casa e di chiedere il divorzio. Della reazione della moglie. Di come si sentiva perso senza di me. Della decisione irrazionale di venire a Napoli e di provare a riconquistare la mia fiducia. Aveva capito (o almeno così lui diceva) di come mi ero sentita tutte le volte in cui andava via in piena notte lasciandomi da sola dopo aver fatto l’amore. Aveva realizzato di quanto fosse infelice in quella casa con lei. Mentre raccontava tutto ciò, pianse. Pianse tantissimo. Il dolore che vedevo e percepivo sembrava reale.

Passò circa 3 ore a parlare a ruota libera. Dicendomi tutto ciò che effettivamente fino a qualche mese prima, avrei voluto sentirmi dire. Questo suo gesto eroico, l’avevo aspettato per mesi, e ora, quando credevo di aver svoltato e di essere riuscita a fare un passo in avanti allontanandomi da lui, arrivava tutto ciò. In un martedì qualunque di fine maggio.


Quando smise di parlare, io rimasi in silenzio per un tempo lunghissimo. E quando riuscì ad aprir bocca, gli chiesi semplicemente di andarsene, che avevo bisogno di stare da sola e di riflettere sulle parole che mi aveva appena detto.


Gli diedi appuntamento per il giorno dopo in piazza Plebiscito, davanti alla statua di Carlo III di Spagna.

Passai l’intera notte a pensare. A pensare a ciò che mi aveva detto, all’effetto che mi aveva fatto rivedendolo, a cosa avevo provato nel sentirmi dire tutto ciò. Non riuscì a chiudere occhi un solo istante. Ero travolta dalle mille emozioni che quell’incontro mi aveva provocato. Ma una più di tutte era particolarmente forte. La rabbia. Con che faccia tosta si era presentato a urtare l’equilibrio che mi ero creata, vomitandomi addosso tutto ciò? Doveva aspettare di perdermi per capire quanto ero importante per lui e bla bla bla?

Non mi resi conto che ero invasa da una rabbia disumana. Mi alzai e mi versai del vino, aprì la finestra e respirai l’odore del mare, che mi riempì i polmoni. La rabbia si stava dissolvendo.

Accesi il pc e iniziai a scrivere. Tutto ciò che stavo provando, iniziai a metterlo tra le righe.

Non riuscivo ad essere felice. Non riuscivo a provare emozioni belle per ciò che era accaduto. Mi sentivo presa in giro. Ma come sempre, scrivere, si rivelò la miglior terapia per calmare le mie emozioni.


Quasi non mi resi conto che era diventata l’alba. Mi feci una doccia, mi asciugai la mia folta chioma irrequieta, mi presi cura del mio corpo, mettendo crema, oli e sieri. Scelsi con cura l’abito da indossare (misi un vestitino primaverile giallo con delle balze sulla gonna e del pizzo all’altezza del seno) un paio di scarpe aperte dietro con un po' di tacco, litri di profumo, del mascara da evidenziare lo sguardo e un filo di rossetto rosso.

Mi diedi un’occhiata allo specchio, sicura di me, e mi incamminai verso piazza del Plebiscito, dove mi stava aspettando Riccardo.



-Ille-




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1 Comment


Romano Portas
Romano Portas
Oct 09, 2023

Bello ,ma non ha fatto la "scintilla"!!!😉😘

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