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Immagine del redattoreSilvia

Atlantide per turisti

Aggiornamento: 23 giu 2023

Pisa era scomparsa molti anni prima della caduta dell’Asteroide.

Nel 2106, la forza del mare aveva definitivamente distrutto la diga che dal 2050 proteggeva la città dall’avanzata del mare, e nulla aveva potuto evitare che venisse sommersa.

Fu una catastrofe.

Se gli abitanti avevano da tempo ascoltato gli allarmi lanciati dalle autorità, accettando a malincuore il ricollocamento, orde di testardi turisti invadevano costantemente le vie cittadine, insistendo a vagare per il centro e la Piazza dei Miracoli, ignorando i cartelli di pericolo distribuiti in ogni angolo.

Anzi: in fondo, quell’aria di vita passata, di gloria fantasma, rendeva Pisa ancora più attrattiva. I turisti si divertivano a fotografarsi accanto ai cartelli, esploravano le case vuote, le università abbandonate.

Dove un tempo Galileo elaborava il metodo scientifico, ora i passanti scattavano selfie con il mare in lontananza e un cartello di “pericolo” in mano, sfidando quelle forze che lui stesso aveva studiato.

Il business finanziava parecchie agenzie, e nessuno si preoccupava del potenziale disastro.

Fino al 22 giugno 2106.

In quella data, tutti si resero conto di aver tragicamente perso la sfida con la natura. I dispersi dell’ondata erano stati oltre 15.000: le perdite maggiori si erano registrate tra i turisti in visita, ma molti erano soccorritori che avevano tentato di salvare quante più persone possibili.


Di quei tragici eventi, ormai, restava solo un vecchio cartello arrugginito piantato all’estremità dell’area allagata.

Recitava così: “Qui Pisa giace sott’acqua. Gloriosa Repubblica marinara, moderno faro di Scienza e gioiello artistico plasmato da quegli stessi uomini che non hanno saputo conservare e rispettare la Bellezza che essi stessi avevano creato. Così, il mare si è ripreso la sua eternità”.

Quand'era piccola, i nonni avevano raccontato a Thea di quella bellissima città finita sott’acqua, di quella Torre strana, pendente, che praticamente nessuno aveva mai visto perpendicolare al terreno.

Eppure, dalle foto che aveva trovato nella vecchia biblioteca, numerose persone avevano immaginato di poterla sorreggere, financo raddrizzare. Era strano se si pensava che, a detta di tutti, se non fosse stata pendente, la Torre sarebbe rimasta certamente una stupenda opera d’arte, ma senza un fascino tale da renderla celebre.

Allora perché tutti immaginavano di farla tornare dritta?

Un paradosso che non era mai riuscita a spiegarsi.

Così come non capiva cosa avesse di tanto speciale e diverso una cittadina sommersa dall’acqua. Tutti quanti, nonostante l’Asteroide, i secoli passati, si ricordavano di… Pisa. Anche se non l’avevano mai vista.

Anche se non era capoluogo di niente.

Cos’aveva di tanto speciale?

Per rispondere a quelle domande, aveva abbandonato Milano e dopo circa 3 giorni di cammino era giunta finalmente a quel cartello.

La Torre Pendente svettava sulla superficie, poco lontano dalla cupola della Cattedrale di quella che anticamente era stata la Piazza dei Miracoli.

Non sapeva perché, ma le lacrime rigavano il suo volto.

Era come se le generazioni passate, osservando quel disastro attraverso i suoi occhi, non potessero fare altro che commuoversi.

Pisa ora era perfetta, come il mito di Atlantide.

Camminò lungo il limite delle acque.

Non aveva mai imparato a nuotare, perciò nutriva un timore reverenziale nei confronti del mare.

L’asteroide aveva nuovamente sconvolto gli equilibri planetari, e ora i flutti si stavano lentamente ritirando.

Già si notavano le tracce dell’abbassamento del livello del mare sui palazzi più alti. In un tempo non troppo lontano, la città sarebbe tornata in superficie.

Questo pensiero la fece sorridere. Pisa poteva risorgere…

Doveva solo avere la pazienza di attendere il tempo giusto.


“E tu… Chi diavolo sei? Da dove salti fuori?”

Una voce decisa la riscosse dai suoi pensieri.

Un uomo in piedi su un’imbarcazione la fissava torvo dalla laguna.

Thea non aveva calcolato che ci potessero essere altri esseri umani,in superficie.

Non era minimamente preparata a questa eventualità.

In più, non comprendeva una parola di quello che le era stato detto.

Spaventata, iniziò a correre nella direzione opposta, lungo la strada di cemento che aveva seguito per arrivare fino a lì.

Si fermò solo quando fu sicura di non essere seguita.

Si rifugiò all’interno di un vecchio ristoro diroccato, nascondendosi sotto a uno dei pochi tavoli rimasti in piedi.

Il cuore batteva all’impazzata, gli occhi le bruciavano, la paura scorreva nelle vene e annebbiava il cervello.

Come le era venuto in mente di abbandonare il suo rifugio? La sua comunità? Di salire in superficie?

Improvvisamente le mancava il sotterraneo, la perfezione del suo mondo, la rassicurante luce artificiale che scandiva giorno e notte. I volti benevoli dei suoi genitori, rassegnati alle sue stramberie.

Pensò al dolore e alla preoccupazione che provavano in quel momento. Avrebbe voluto dire loro che stava bene, che era viva. Ma come? Già prima ogni via pareva sbarrata, per di più ora persone sconosciute potenzialmente ostili sapevano che lei era lì.

Si addormentò sfinita dalla disperazione e dalla fame, non sapendo se il nuovo giorno sarebbe spuntato anche per lei.


La mattina successiva, un raggio di sole le ferì il viso.

Si rese conto di avere sul corpo una coperta di uno strano materiale, forse lana.

Si guardò intorno, stirandosi.

Quando si rese conto che due occhi scuri la osservavano a breve distanza, le si bloccò nuovamente il respiro.

L’Uomo l’aveva trovata.

“Buongiorno!” Disse lui, porgendo la mano in segno di saluto.

Istintivamente Thea si ritrasse, scostando bruscamente la coperta e saltando in piedi.

“E' una coperta di lana. Tienila. Stanotte ti ho trovata a dormire qui. Tremavi di freddo.” Continuò l’uomo, emettendo quelli che per Thea erano suoni sconosciuti.

Era ostile?

“Hai fame?” Proseguì, ignorando il fatto che la ragazza non capiva una parola di quello che diceva.

“Tieni!” esclamò senza aspettare risposta, porgendole del cibo che Thea non aveva mai visto. Pareva… Frutta vera.

Thea la afferrò e la annusò.

Non sapeva dire se fosse commestibile, ma il suo stomaco le fece notare che non era in condizioni di fare troppe domande.

Assaggiò la mela, scoprì che era meglio di qualsiasi cibo sintetico mai consumato prima.

L’uomo la osservava divorare la frutta.

Non somigliava a nessun superstite incontrato finora. La pelle diafana, i capelli quasi bianchi, i vestiti sintetici… Non poteva che provenire dal Mondo di Sotto.

Erano secoli che nessuno aveva notizie dei bunker: possibile che ci fossero dei sopravvissuti? Guardandola, capì che non poteva essere altrimenti.

Doveva convincerla ad andare con lui dal capo.

Improvvisamente si rese conto che la ragazza probabilmente non parlava la loro lingua.

Doveva almeno presentarsi.

“Naal!” Affermò indicando se stesso più volte.

Thea lo scrutò, inclinando la testa. Cosa stava cercando di fare? Perché stava indicando se stesso?

Che si stesse presentando? La consuetudine prevedeva che lei rispondesse con il nome.

Lo guardò per un po’.

Era alto, scuro, brutto, dall'aspetto minaccioso, pieno di peli e con dei tessuti polverosi addosso. Potenzialmente ostile.

Però le aveva dato un giaciglio caldo e del cibo non velenoso.

Le sue scorte erano quasi del tutto deperite, e lui magari sapeva dove trovare altre risorse.

Appoggiò entrambe le mani al cuore e poi le aprì, in segno di saluto.

Pronunciò “Thea”, ripetendo il gesto più volte.

Poi ripetè “Naal”, indicando il suo interlocutore con la mano (indicare con il dito, dalle sue parti, era estremamente scortese).

Lui rispose “Thea”, segnandola con il dito.

Si sorrisero.

Poi Thea riprese a mangiare. Non si era resa conto di quanta fame avesse accumulato.


- Silvia-


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